Social walking nella Valle dei Mocheni

Abbiamo chiesto a Elisa Nicoli, autrice de L’Italia Selvaggia e guida del nostro viaggio a piedi in Trentino Alto Adige, di raccontarci la Val Mocheni e la gente che la abita.

 

Chi sono i Mocheni? E che relazione hanno con la loro terra?

I mocheni non si sono mai definiti tali. La Valle dei Mocheni, infatti, nella lingua di questa minoranza linguistica, prende il nome dal fiume che la percorre: Bersntol, valle del Fersina. Sono una minoranza linguistica, ufficialmente riconosciuta dallo Stato italiano solo nel 1999 (legge 482/99). La loro lingua dovrebbe essere originaria dell’alto tedesco antico: era la lingua parlata dagli immigrati tedeschi alla fine del XIII secolo che si erano insediati, su richiamo dei signori feudali di Pergine, per antropizzare la zona. Esitono ancora circa 1500 parlanti.

Durante il viaggio si andrà a conoscere il Comitato Bollait. Puoi parlarci di quali obiettivi animano i partecipanti? Del perché è nato e in che cosa consiste l’operato del Comitato?

Nel 2017 è stato fondato il Comitato Bollait – Gente della Lana, nato per ridare vita a una filiera corta della lana in Val dei Mòcheni. La materia prima c’è (5 / 6 mila kg all’anno), ma da decenni non era mai più stata valorizzata. Lo scopo è promuovere la filiera corta, recuperando una tradizione locale legata a questo materiale. Invece di lasciarla gettar via come rifiuto speciale, un gruppo di donne si è riunito per lavorarla e trasformarla in prodotti per il sonno (guanciali, lanotti e materassi) e per maglieria/tessitura (filato a più capi e cordoncino). Nel 2018 sono riuscite a recuperare 2 mila chili della tosatura primaverile. Due delle componenti le incontreremo personalmente: Daniela Dalbosco e Vea Carpi.

 

Diresti che la Valle dei Mocheni è un luogo in fermento di rinascita?

La Valle dei Mocheni è apparsa nelle cronache per l’insediamento di Agitu Ideo Gudeta, etiope di nascita, con la sua azienda La Capra Felice, osteggiata per anni dai locali, che a detta sua non hanno mai brillato di iniziativa, mentre sono le persone che vengono da fuori, come lei, Daniela e Vea, che portano novità e nuova economia (sostenibile) in valle. Io conosco solo questa parte “felice” della Valle dei Mocheni: i lati più oscuri non li ho mai incontrati di persona.
In che senso il Lagorai è “selvaggio” ed è inserito nella guida edita da Altreconomia?
Il Lagorai è a ridosso di una delle zone di montagna più turistiche al mondo: le Dolomiti, ma ne resta discosta. Tranne in alcuni punti più facilmente accessibili, il Lagorai resta lontano dal vociare umano. Non ci sono rifugi in quota, ma solo “baiti” da autogestire. Chi sale lungo le creste rischia di perdersi o di trovarsi improvvisamente davanti ad un dirupo, percorrendo sentieri incerti. La Translagorai, un cammino di 5 giorni che percorre l’intera catena, è un’esperienza meno estrema delle creste, ma altrettanto selvaggia. Noi la sfioreremo e ce la faremo raccontare dal gestore del Rifugio Sette Selle.

In che modo, durante il viaggio, si verrà a contatto con la popolazione locale?

Il viaggio è organizzato proprio in modo da poter incontrare persone che hanno portato nuovi impulsi nella valle, gestendo B&B o agriturismi. Molto importante sarà anche l’incontro con i gestori del museo dell’istituto culturale mòcheno-cimbro, che ci racconteranno in dettaglio la storia di questi luoghi e la sua cultura.

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