Viaggio in Messico, diario di un viaggio in Chiapas

Ecco un nuovo appuntamento con i diari di viaggio del nostro viaggiatore Piero! Parole e immagini che seguono sono tratte dal racconto di viaggio in Chiapas, dal suo blog Macondo Express.

Corrido Chiapaneco

di Piero Maderna

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Un corrido è un canto popolare, una narrazione in musica tipica della cultura messicana, una ballata, se vogliamo. Un cuento, un racconto che parla in genere della durezza della vita quotidiana dei contadini, di oppressione, di lotta, di sogni, di amori, di vita e di morte. Che narra gesta eroiche di eroi popolari, mirabolanti avventure di peones un po’ santi e un po’ banditi, che sono nati poveri, ignoranti e vestiti di stracci ma che da quella miseria si sono sollevati e hanno fatto la Storia. Gente come Pancho Villa, come Emiliano Zapata. Non a caso questo genere è ancora oggi molto popolare in Messico, ma ha toccato il suo apice ai tempi della rivoluzione messicana.

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un viaggio nel Chiapas, sudest del Messico, tra le comunità indigene che da anni lottano per il riconoscimento dei propri diritti, per la loro terra, per la loro dignità come popoli originari. Nello stato messicano dove dal 1994 batte il cuore della rivoluzione zapatista, che dopo anni di inutili trattative con il governo messicano ha portato alla creazione dal basso di una società alternativa, con amministrazione, educazione e sanità autonome. Cercando di entrare in profondo contatto con queste realtà, conoscendone la storia e le radici attraverso la visita dei siti archeologici ma senza dimenticare di godere delle meraviglie della natura di questo angolo di mondo.

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La visita a San Cristobal, che sarà la nostra base dalla quale partire per esplorare le montagne e gli altipiani del Chiapas, non può che iniziare dallo zocalo

Viaggio in Messico

Lo zocalo è la piazza centrale di ogni città messicana, piccola o grande (…) Nello zocalo, davanti al palazzo municipale, Betty ci racconta che qui, come del resto in tutta l’America Latina, la colonizzazione fu molto dura. Non solo gli indigeni vennero sterminati con le armi e dalle malattie portate dagli europei, per le quali non avevano anticorpi, ma in più la sopraffazione e la negazione della loro dignità di esseri umani hanno lasciato conseguenze che si vedono ancora oggi. L’essere considerati animali li ha portati a interiorizzare un senso di inferiorità rispetto all’uomo bianco che ancora oggi si fa sentire e Betty, da antropologa, sa quanto sia difficile da destrutturare (…) Il Chiapas è uno stato dove la presenza indigena è molto forte: su 5 milioni di abitanti, un milione sono indigeni. Già nelle strade di San Cristobal, che pure è una città cosmopolita e turistica, questo si vede. E si capisce che anche oggi le loro condizioni di vita non sono sempre facili. Donne indigene vestite in abiti tradizionali, accompagnate da bambini anche molto piccoli, vendono braccialetti o altri piccoli souvenir. Alcuni bambini chiedono l’elemosina. Betty ci spiega che non sono bambini di strada, o almeno non tutti. Bisogna distinguere tra niños en situaciòn de calle, che hanno una casa e una famiglia anche se spesso sono costretti a passare tutta o quasi tutta la giornata in strada, e niños de calle, che si trovano in condizioni reali di abbandono. Questi ultimi esistono, anche se sono una minoranza. Ci sono bambini nati in comunità isolate o comunque in situazioni difficili che non sono registrati all’anagrafe, non hanno documenti e quindi non possono andare a scuola. I gruppi etnici sono vari (Tzotzil e Tzeltal i principali) ma sono tutti discendenti dei maya.

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Nei mercati c’è l’opportunità di vedere ancora meglio gli abiti tradizionali indossati dagli indigeni, in particolare dalle donne.

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Il mercato è pieno di dolciumi di tutti i tipi, tra cui spiccano i teschietti di zucchero fatti per la festa dei morti.
Un altro articolo che va moltissimo, in questa occasione ma probabilmente anche sempre, sono le candele, di varie dimensioni e con varie decorazioni, utilizzate per la venerazione dei santi, il ricordo dei morti e in generale per le veglie di preghiera: si chiamano infatti veladoras.

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Il pranzo, che è il nostro primo pranzo veramente messicano, si svolge al Tierradentro, un locale che è anche una sorta di centro culturale (…) diversi striscioni e manifesti (…) campeggiano insieme agli scheletri appesi per la Festa dei Morti. Alcuni chiedono verità e giustizia per i 43 studenti della Scuola Normale di Ayotzinapa, che quattro anni fa sono stati rapiti e probabilmente uccisi (i corpi non sono mai stati trovati) nello stato del Guerrero (…) La protesta di quei ragazzi contro la riforma del sistema educativo dava forse fastidio, ma soprattutto probabilmente il fatto è da inquadrare in una sorta di strategia della tensione messicana, che ha prodotto negli ultimi anni cifre spaventose. Le stime più ottimistiche parlano di 35-40.000 desaparecidos (…) Il fatto positivo, nella tragedia di Ayotzinapa, è che si è risvegliata un po’ di attenzione internazionale. Uno dei cartelli recita infatti: “Hanno cercato di farci sparire, ora appariamo in tutto il mondo”…

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(Secondo giorno) Abbiamo appuntamento con il giovane Raimundo, che ci farà da guida; ci accoglie sorridente nel suo cappottino di lana grezza nera, che porta con disinvoltura sopra jeans e camicia (…) Il nostro percorso inizia dal cimitero, e non poteva forse essere altrimenti. Fervono i preparativi per la festa dei morti, che inizia ufficialmente dopodomani. Molti stanno già sistemando e addobbando le tombe. Domani pomeriggio verranno creati gli altari con il cibo tipico, quello che piaceva ai defunti, perché nella credenza locale il 1° novembre arrivano gli spiriti dei morti a condividere il cibo e la festa con le rispettive famiglie. Insieme al cibo ci sarà anche il bere: birra, tequila e tanta coca cola.

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Passando per il mercato, ci spostiamo verso la chiesa di San Juan Bautista (…) Questo luogo viene chiamato dagli indigeni Chulna, che significa luogo sacro. La struttura è quella di una chiesa, ma il funzionamento è un po’ differente (…) Ci sono diversi gruppi di persone, che stanno compiendo ciascuno il proprio rituale. I riti possono essere per la purificazione, per un ringraziamento o per una richiesta. In funzione di questo, cambia anche il colore delle candele: ad esempio il verde si usa per chiedere salute, il nero per ottenere protezione dal malocchio. Per ringraziare Dio si usano fiori, candele di altri colori e galli o galline bianchi, che vengono sacrificati (…) si usa in abbondanza un incenso chiamato copal, che bruciando riempie l’aria di un fresco profumo molto intenso (…) Il tutto avviene sotto la supervisione di un ilol, che è una guida spirituale o un curandero, un guaritore della medicina indigena. Ma ci sono anche quattro mayordomos, vestiti con paramenti sacri. Potrebbero sembrare sacerdoti, ma in realtà sono autorità scelte all’interno della comunità (…)

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