Prato è la città dei tessuti, la capitale indiscussa del tessile, ma anche luogo di intrecci umani, di relazioni commerciali che affondano le radici nel Medioevo e nel suo DNA incline al dialogo con il mondo. Un afflato cosmopolita che si specchia anche nella prima comunità cinese d’Italia che la abita, ma che va ben oltre.
La città custodisce una memoria sconfinata di questi intrecci, intessuti non solo con gli orditoi prima e le macchine industriali dopo, ma con uomini e culture diverse, intersecandosi con lontane rotte mercantili in un ricco gioco di relazioni internazionali. Una città fatta anche di trame creative che trasformano e riqualificano la città , le strade, i presidi della cultura, gli spazi industriali. Una città che si reinventa e guarda al futuro.
Per tutti questi motivi oggi Prato è una delle tappe del Grand Tour delle donne in Toscana, un percorso narrativo che di tappa in tappa conduce le lettrici e i lettori di DOVE lungo tutta la Toscana fino a giugno. Una staffetta tra magazine e sito, attraverso le testimonianze delle donne che il territorio lo vivono e lo raccontano ogni giorno.
Diana Toccafondi, una vita tra i carteggi dell’archivio Datini
La testimonianza di Diana Toccafondi, direttrice dell’archivio del mercante Francesco Datini, racconta con dovizia di particolari il mondo cosmopolita di Prato, che affonda le radici nel quattordicesimo secolo, epoca di scambi e di commerci. Nel 1383 Datini tornò in città dopo un lungo soggiorno ad Avignone e costruì la sua dimora che si trasformò ben presto in palazzo di rappresentanza, ospitando reali e autorità di altri Stati. Tutto documentato dalla fitta corrispondenza custodita nell’archivio.
“Ho lavorato a lungo nell’archivio di stato di Firenze – racconta Diana Toccafondi – ma non ho mai apprezzato l’erudizione spicciola, mi piace che gli archivi parlino, come questo”. Durante la sua lunga carriera, la studiosa ha decodificato centinaia di lettere del mercante, che ammontano a circa 1500. “Un carteggio che lega la miriade di relazioni amicali e commerciali di Francesco, e che rappresenta il ponte tra la sua biografia e il commercio – spiega Diana -. La parte più pregevole è il carteggio economico, che si muove sulle rotte delle navi e delle merci”.
Un esempio unico di memoria viva dei commerci in epoca medievale, ma che ricostruisce anche uno spaccato familiare attraverso la corrispondenza tra il mercante e la moglie Margherita.
“I due non avendo figli decisero di creare una fondazione benefica, chiamata “Casa Pia dei Ceppi”, richiamando la tradizione francescana di buttare nel ceppo il maltolto. Grazie a questa eredità l’archivio viene consegnato alle generazioni postume integro”, spiega ancora la direttrice.
Dalle lettere indirizzate alle sedi commerciali di Barcellona, Firenze, Pisa, Mallorca e Valencia, dove il mercante esercitava una funzione di controllo, emerge forte la sua anima cosmopolita ma anche quella caritatevole. “Dal suo testamento – conclude Toccafondi – si comprende che fosse stata lasciata una cifra per la costruzione dell’Ospedale degli innocenti di Fiorenze, forse perché il mercante era rimasto orfano a causa di una pestilenza e aveva perso tutto”.
Elisabetta Pandolfini e i biscotti di Prato
La storia dei celebri cantuccini di Prato è indissolubilmente legata a quella del Biscottificio Mattei, grazie al fondatore Antonio Mattei, che dal 1858 aprì i battenti nel centro cittadino. Da oltre 100 anni il biscottificio porta il nome della famiglia Pandolfini. Elisabetta Pandolfini, detta Betta, è una dei quattro fratelli proprietari della fabbrica di biscotti toscani più conosciuta.
“Tutto prende il via dai sogni del nonno Ernesto e dalle lettere che scriveva dal fronte nel 1914 – racconta – . Rimasto orfano di madre a 11 anni, era stato cresciuto dalla zia, che era sposata con un fornitore di farina per i Mattei. Fu così che Ernesto iniziò a lavorare per loro a 14 anni, e da allora alimentò ogni giorno il sogno di costruire un biscottificio tutto suo”.
Il sogno ha poi preso vita nel 1920, anche se nel dopoguerra i biscotti si producevano solo la domenica e durante la settimana pane e pasta. Per ricostruire questa storia, Elisabetta Pandolfini ha creato una archivio di famiglia insieme alla sorella, e nel 2018 anche un piccolo museo a Firenze con negozio annesso.
“All’inizio nell’azienda lavoravano solo i due primogeniti – racconta Betta -. Io ero più fuori dagli schemi. volevo fare l’ostetrica. Ma la mia famiglia era matriarcale, abbiamo sempre vissuto tutti insieme, così dopo una pausa siamo tornati a farlo, nella nostra grande casa di campagna. Mia madre ci guidava e teneva unita la famiglia: ha portato la tradizione della cultura napoletana. Abbiamo iniziato ad esportare dappertutto nel mondo: Stati Uniti, Hong Kong, Giappone, Messico, Europa. La nostra storia è cresciuta e noi con lei”.
Elisabetta Pandolfini, nel suo essere una sognatrice con tante idee, incarna lo spirito di Prato. E assicura che il segreto del successo, nella vita come nei biscotti, è mescolare gli ingredienti. “La farina, le mandorle, lo zucchero sono un semplice miscuglio che porta armonia. E la storia di noi fratelli Pandolfini è un po’ questo – racconta Betta -. Mio fratello Francesco si occupa della produzione, ia sorella dell’amministrazione, la più giovane e più romantica cura la creatività e l’archivio di famiglia ed io le pubbliche relazioni. Così la diversità diventa unità”.
Manuela Baragno, la regina dell’Art Hotel
Vivere l’ebrezza di dormire in un museo. Questa è la sfida dell’Art Hotel Museo di Prato, a pochi passi dal centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, con cui condivide la firma dell’architetto razionalista Italo Gamberini. Una sfida raccolta e vinta dalla proprietaria Manuela Baragno, che ha curato con passione ogni dettaglio.
“Abbiamo voluto che il nostro albergo fosse un prolungamento del museo stesso – spiega -. Questo luogo di ospitalità doveva essere anche un luogo di arte e bellezza, per poter offrire molto di più che un semplice alloggio. Abbiamo puntato su professionalità, creatività e originalità per portare l’arte negli spazi più intimi”. All’Art Hotel di Prato ogni camera è dedicata a un artista, mentre nella hall e lungo i corridoi sono esposti quadri importanti.
“Nel corso del tempo la galleria si è arricchita con opere provenienti da un generoso collezionista privato, il cavalier Carlo Palli , che ha creduto nel progetto dando un nuovo impulso tanto da avere oggi opere d’arte di livello museale” dice orgogliosa Baragno.
L’imprenditrice ha creduto talmente nel progetto da volerlo avviare, nel 2017, anche in un altro hotel: l’Art Hotel Milano, che si trova vicino al museo del tessuto.
“Il momento più importante per noi è la condivisione dell’arte con i pratesi – afferma la proprietaria – Per questo organizziamo momenti dedicati aperti al pubblico: desideriamo che tutti possano vivere ciò che gli ospiti dell’hotel fruiscono durante i loro soggiorni”.
Paola Bellandi, maestra dei tessuti e dei colori
Quando si parla di intreccio di trame creative non si può non visitare un moderno eppure tradizionale atelier di moda di Prato. Quello di Paola Bellandi coniuga il DNA della tessitura pratese con l’apertura di una donna che è arrivata a sfilare a Piazza di Spagna, per poi far ritorno nella sua terra d’origine tra le sue clienti di sempre.
“Volevo fare il medico – racconta – ma dopo un anno di università ho capito che la mia vocazione era la moda e il mio sogno sfilare al Roma per l’haute couture. Così mi sono iscritta alla scuola per stiliste, ho seguito diversi progetti a Prato, ho lavorato con lo stilista spagnolo Pietro Morago e infine ho aperto un piccola sartoria che con il passaparola è decollata”.
Ma nel frattempo Paola Bellandi voleva volare alto. Così sono arrivati i contatti con la Camera nazionale della moda, e nel 1996 la prima collezione in sfilata a piazza di Spagna. “Ma quella vita non mi apparteneva – confessa oggi la stilista -. Avevo bisogno di ricercare, desideravo creare qualcosa di mio, circondata dai colori e dai tessuti che scelgo personalmente”.
L’atelier Bellandi a Prato è un trionfo di colori e tinte pastello. “Il colore ti fa sentire bene, dà emozioni – conferma Paola -. Nei miei abiti le clienti devono trovare la loro pelle, per questo cucio ancora sui manichini. L’abito deve donare e mai detrarre”.
La nuova anima del Politeama di Prato, simbolo di empowerment femminile
La tappa pratese del Grand Tour delle donne in Toscana non poteva non passare dal Politeama, storico teatro cittadino rinato sulle ceneri di un vecchio cinema, palcoscenico di un evento correlato alla rassegna. La sua storia è tutta al femminile: negli anni Novanta è stato salvato dal declino e da un destino di conversione commerciale grazie a Roberta Betti, allora presidente della Fondazione Teatro Politeama. Oggi le sue redini sono state lasciate a un’altra donna, Beatrice Magnolfi, che dopo un’appassionata carriera politica per la Provincia di Firenze e il Comune di Prato, per il quale ha ricoperto ogni ordine di carica, ha scelto di dare spazio alla sua grande passione: quella del sapere e del trasmettere il sapere, mettendo al centro l’empowerment delle donne.
“Ho sempre pensato che ci volesse un altro potere, un verbo, non un sostantivo – dice -. E ho sempre agito nel segno del cambiamento. Per esempio, negli anni Novanta ho contribuito alla fondazione del primo centro antiviolenza a Firenze, Artemisia”.
Magnolfi ha lavorato per un decennio per la Fondazione Toscana Spettacolo, girando tutti i teatri della regione e programmandone le stagioni. Poi, nel 2021, la chiamata al Politeama alla morte di Roberta Betti. “Questo teatro compie 100 anni nel 2025 – spiega la presidente – Fu fondato da Bruno Banchini, un giocatore di pallone elastico, che trasformò l’allora arena in Politeama. Dopo alterne vicende, fu chiuso negli anni ’80 e salvato qualche anno più tardi da Roberta Betti, musicista, compositrice musicale e donna energica , che quando comprese il rischio che questo grande presidio di cultura si potesse trasformare in un garage si attivò, coinvolgendo le istituzioni locali, le imprese e i singoli cittadini, arrivando ad un’azione popolare con una partecipazione di 1000 lire a persona”.
Oggi il Politeama rappresenta il punto di incontro tra il legame con il territorio e l’anima universale della città. Da un anno ha ottenuto il riconoscimento del Ministero della cultura, ha aperto una scuola di musical e il suo cartellone è passato da pochi eventi a 64 spettacoli.
L’omaggio alle donne del presidente della Regione Toscana Eugenio Giani
«Le donne sono la colonna vertebrale delle società», affermava Rita Levi Montalcini, specificando che a loro tocca portare due pesi, quello privato e quello sociale. E sollevare questo doppio peso non è solo una questione di equità, è una formidabile scommessa che una società può fare su se stessa. Puntando davvero a far sì che ogni merito sia riconosciuto, ogni talento valorizzato. Proprio pensando a questo la Regione Toscana ha scelto di sostenere un progetto, La Toscana delle donne, che va oltre la sacrosanta battaglia per la parità di genere e la fine di ogni discriminazione.
Eugenio Giani, Presidente della Regione Toscana, omaggia così le donne toscane. “In prima fila nella gestione degli affari di Stato, nelle imprese di famiglia, nell’arte, nella letteratura, nella scienza. La storia della Toscana è anche questa – afferma -. La storia di donne che, a dispetto di ostacoli e pregiudizi, hanno affermato le loro qualità, i loro talenti: anche se poi la storia scritta dagli uomini l’ha relegate in secondo piano”.
L’omaggio delle istituzioni va a personaggi come Eleonora dé Medici, “che non fu solo la moglie di Cosimo ma indiscussa protagonista nelle questioni di governo, nella cura del patrimonio, nel mecenatismo”, ricorda Giani. O a Margherita Datini, la moglie di Francesco, di cui si celebra quest’anno il cinquecentesimo, ancora capace di illuminarci con le sue lettere sulla vita dei mercanti pratesi e toscani dell’epoca.
“Solo le prime due donne che mi vengono in mente – dice Giani – a cui aggiungo volentieri quell’Elettrice Palatina a cui ogni fiorentino, ogni toscano, dovrebbe essere grato perché ci consegnò integre le collezioni d’arte dei Medici, scongiurandone la dispersione”.
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Guarda anche: Grand Tour delle donne in Toscana, lo speciale
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