Città non sempre inserita nei grandi flussi turistici di massa, Torino ha visto negli ultimissimi anni una crescita dei visitatori grazie ad alcuni eventi molto popolari, dall’edizione 2022 dell’Eurosong festival alle finali di tennis Atp, che tornano a novembre. Più il traino di alcune attrazioni sempre amate: il Museo Egizio, Il Museo del Cinema, la Reggia di Venaria e, in crescita, lo stadio e il museo della Juventus. La città cresce anche come metà gastronomica però, sulla scia del Salone del gusto che la presenta come base per esplorare i giacimenti enogastronomici unici al mondo come le Langhe e il Monferrato, ma anche grazie alla vitalità del suo parco locali.
La città oggi, dal settore dell’alta cucina a quello dell’etnico e dello street food, è un vero laboratorio del gusto, ricco di idee e novità, spesso con prezzi leggermente meno cari della più vicina Milano (con l’alta velocità sono 48 minuti). Ecco le migliori, e più varie esperienze gastronomiche da fare oggi in centro (o quasi). Per tutti i gusti e i portafogli, idee per menù nuovi, ma anche per vedere diversi aspetti e zone del capoluogo torinese in evoluzione.
(Aggiornato ad Aprile 2023)
Scatto – Caffè San Carlo
L’esperienza
Una visita alle nuove Gallerie d’Italia di Piazza San Carlo seguita da un aperitivo+pranzo, o anche solo un caffè e brioche (a che brioche!), nel suo rinnovato più celebre salotto, il Caffè San Carlo, e nel suo nuovissimo ristorante d’autore firmato Costardi Bros.
Perché
Se Piazza Castello è lo spazio dei turisti e delle cerimonie istituzionali, se piazza Vittorio è l’epicentro della movida e Piazza Valdo Fusi quella dello Skateboard, piazza San Carlo è da sempre la piazza “Salotto buono”, quella del passeggio, dei cantanti di strada e dello shopping, a nord e a sud lungo le scintillanti vetrine di via Roma. Si scende con il treno ad alta velocità alla stazione di Porta Nuova, si camminano non più di 5 minuti ed ecco il grande spazio porticato aperto dalle chiese quasi gemelle, tardo barocche, di Santa Cristina e San Carlo. Lo stesso scorcio, tra l’altro, che torna ossessivamente in La legge di Lidia Pöet, miniserie Netflix sul primo avvocato donna della storia italiana, di grande successo in tutto il mondo, che è anche un omaggio alle strade e piazze della Torino di fine Ottocento.
Ci si dirige poi in fondo a sinistra dove ha riaperto dopo un lungo restauro un luogo molto particolare, il Caffè San Carlo.
Il Caffè San Carlo è la quintessenza del caffè nobile torinese, tutto stucchi e boiserie, specchi e affreschi, un luogo dove il nobile Cavour, ma anche il poeta Gozzano e lo scrittore Umberto Eco trascorrevano molto tempo quand’erano in città. Qui si fa colazione, si fanno pranzi veloci, merende e aperitivi, qui da secoli si guarda e si viene guardati. Del resto, Torino è la città italiana con il maggior numero di caffè storici, secondo l’Associazione dei locali storici italiani. Sono ben dieci quelli inseriti nella lista ufficiale, tutti e 10 entrati di diritto nell’ultimo itinerario culturale riconosciuto ufficialmente dal Consiglio d’Europa, la Historic Cafés Route, un percorso di locali storici d’eccezione che va da Parigi a Budapest, da Bratislava a Barcellona e, in Italia, da Venezia a Pisa. Attenzione però: non si tratta di luoghi cristallizzati nel tempo dove si celebrano vecchie tradizioni. Molti di essi, ad esempio, oggi puntano sull’haute cuisine.
La ristorazione del San Carlo, dai pasticcini ai sontuosi pranzi veloci, è nelle mani adesso dei Costardi Bros, talentuosi giovani chef vercellesi che di nome fanno Cristian e Manuel e con la tradizione ci giocano, la rielaborano, la rilanciano e colorano.
Soprattutto nel nuovissimo ristorante Scatto, che riprende gli spazi gloriosi del locali ma li rielabora con forme di design contemporaneo, luci, specchi, fotografie. Fotografie che, insieme al nome del locale, sottolineano il nuovo legame del locale con il museo appena accanto al caffè, ovvero le Gallerie d’Italia, l’altra grande sorpresa di piazza San Carlo per chi manca da Torino da un po’. Si tratta di un enorme spazio per mostre fotografiche, videoinstallazioni, archivi visuali voluto da Banca San Paolo nello stupefacente Palazzo Turinetti. Quest’ultimo è uno dei grandi palazzi tardo barocchi nobiliari che circondano la piazza.
Anche qui, contemporaneo e passato glorioso si inseguono. Per le mostre fotografiche è stato ricavato un luminoso spazio ipogeo con pareti touch e megaproiezioni. Ma si può anche salire al Piano Nobile, dove si ammira la collezione d’arte della Compagnia San Paolo, tra icone medievali e vedutisti vittoriani, e, soprattutto, gli arredi sontuosi del palazzo, restituiti al loro splendore dopo un lungo restauro. Parliamo, del resto, di edifici che, nell’ultima guerra, erano andati quasi distrutti. Da lassù, dal terzo piano di Palazzo Turinetti, poi, si ammira la grande piazza da una prospettiva tutta nuova, praticamente inedita.
Creata nella sua forma attuale a meta Seicento, piazza d’armi poi luogo sacro ai Savoia, restaurata nel 2006 per le Olimpiadi Invernali, oggi la piazza è tornata ad essere soprattutto un luogo di ritrovo nel centro sempre più pedonalizzato.
Ma veniamo al Caffè San Carlo e a Scatto. Sotto la guida dei Costardi Bros, il Caffè veste la doppia anima di caffetteria e bistrot. Sette giorni su sette dalle 8 alle 22, ecco un ‘offerta per tutti i momenti della giornata.
La colazione è con miscele pregiate di caffè e i giochi del pastry chef Andrea Allione, dal classicissimo croissant alla francese a una Veneziana (Brioche mandorla cruda e fava tonka). E ancora, Tartelletta con crema pasticcera e frutti di bosco, Bignè con craquelin, Tiramisù (in forma di rollè) e il Bonet piemontese, sempre con un tocco nuovo da scoprire più che da raccontare.
Piemontesissimo il menu del bistrot per pasti veloci: Vitello tonnato, Ravioli del plin, cruda di Fassona e nocciole e divertenti baguette a sorpresa (da primavera, prenotare assolutamente il dehor affacciato su piazza San Carlo).
Moderno design che si integra con gli arredi storici del Caffè, tante foto a evocare il vicino museo, sapori piemontesi ma rielaborati a sorpresa sono gli ingredienti del ristorante.
Tre i menu degustazione principali. Disegno è la proposta più incentrata sul territorio, con piatti classici come il Vitello tonnato. Niente, comunque, è come ci si aspetta. La trota in Carpione è una festa di salse colorate e di diversa consistenza. Il risotto verde (nella tipica lattina dei Costard Bros) evoca il “bagnetto al verde”. Porro e nocciole diventa un biscotto farcito e il Brasato si mangia al cucchiaio.
Ritratto è il menu più variegato, a evidenziare i gusti e la provenienza dei diversi membri dello staff. Con giochi vegetariani come la Rapa, mela e miso, la Zuppa di cipolle cotta molto a lungo (con salsa tamari e fieno), la “Mugnaia” che diventa ceviche e il Riso condensed (in lattina), con ragù di calamaro, patè di fegatini di pollo e katsuobushi, cioè scaglie di tonno essiccato tipico giapponese).
Scatto libero è infine il menu del gioco e del divertimento, della sfida, della creatività, con piatti sempre nuovi in base al momento e alla dispensa. Da non perdere i dolci di Andrea Celeste Allioni, con spazio, sorprendente, al riso.
Porto di Savona
L’esperienza
Una cena con tutti i classici torinesi nelle ricette della tradizione su una delle piazze più belle della città, in una delle location di La legge di Lidia Pöet
Perché
Se in La legge di Lidia Pöet, miniserie Netflix sul primo avvocato donna della storia italiana, di grande successo in tutto il mondo, Piazza San Carlo è il cuore e simbolo della città appaiono anche altre location interessanti. Per rappresentare la pensione dove vive il giornalista amico di Lidia è stato scelto forse il più classico dei classici ristoranti piemontesi. Siamo su Piazza Vittorio, il grande scenario porticato con cui il lungo asse del centro storico formato da Via Garibaldi, Piazza Castello (occhio alla facciata di Palazzo Madama, lo storico restauro è quasi finito) e via Po sfocia sul fiume di fronte alla Chiesa della Gran Madre. Oggi è uno degli epicentri della movida, tra raffinati locali per l’aperitivo e dehors in piazza e boutique, poi per la notte i giovani si sposano nel vicino quartiere di pub universitari di Vanchiglia o, i più alternativi, ai Murazzi del Po.
In attività dal 1863, il Porto di Savona (oggi di proprietà di un altra “icona” torinese, il presentatore tv Piero Chiambretti) è entrato da poco nella lista dei Locali storici d’Italia. Tra vecchie foto, boiserie e lampade liberty, è il posto giusto per assaggiare con l’atmosfera giusta tutti i classici della cucina torinese. Specie se si sceglie il menù degustazione torinese e si va sul sicuro.
La storia
La storia di Piazza Vittorio inizia quando Napoleone Buonaparte decise di donare alla Città di Torino un solido ponte di pietra sul Po, ultimato nel 1814. La piazza fu invece un’iniziativa di Re Vittorio Emanuele I. Fu costruita in 5 anni tra il 1825 e il 1830 su progetto dell’ingegnere luganese Giuseppe Frizzi, che mascherò con il progressivo degradare delle case, il dislivello di 7,19 metri dalla fine di via Po al ponte: come tutti sanno da piazza Castello al fiume le bici vanno senza pedalare grazie al falso piano (al ritorno però è un altra cosa).
L’edificio del Porto di Savona chiudeva via Po (ultimata nel 1720) dove si trovava la Porta di Po del Guarini. Prima del ristorante (prime tracce del 1863) era qui una stazione di posta per le corriere verso Savona, porto di riferimento della città. Il Porto è da sempre meta di nobili, artisti, gente qualunque, Nanni Moretti ci faceva base per il Torino Film Festival, Luis Sepulveda vi progettò la versione cartoon de la Gabbianella e il gatto (della casa di produzione torinese La Lanterna magica) e per lo scrittore Mario Soldati e il suo cerchio era praticamente casa (altri personaggi si vanno a scoprire nelle foto in sala e lungo le scale).
Tutte le icone torinesi
Ecco allora gli antipastini piemontesi, a partire dall’acciuga al verde, gli agnolotti del plin (con pasta all’uovo e arrosto di bovino nel ripieno e nel sugo), i tajarin al formaggio Castelmagno e gli gnocchi di patate (“alla bava”) con Gorgonzola DOP di Novara. Senza voli pindarici, qui è tutto è fatto con cura, a partire dai dolci e le pasta fatte in casa.
Ecco la finanziera, misto delle parti meno nobili di polli e bovini mescolati, il vitello tonnato, la carne cruda di fassona con cipolle caramellate, caprino e nocciole, il bollito misto (meglio prenotarlo) e il brasato al Barolo. E, solo nei mesi freddi, la Bagna cauda, pasto piemontese a base di verdure bollite (immancabili cardo gobbo e peperoni) con la salsa calda di olio, acciuga e aglio). Non semplice da trovare in città, qui c’è anche il fritto misto piemontese – con pezzi dolci impanati insieme a carne, verdure e cervello, solo su prenotazione. E poi, i dolci piemontesi, a partire dal Bönet Langarolo con amaretti e cacao.
Da marzo a settembre, assolutamente da prenotare nel dehors sulla piazza che scende leggermente al Po. E dietro l’angolo da novembre a gennaio, la pasticceria Ghigo è la casa della “Nuvola”, incredibile pandoro artigianale con glassa di burro e zucchero a velo. Provare per credere.
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Piano 35
L’esperienza
Alta cucina stellata nell’incredibile serra tropicale in cima al grattacielo più alto del centro città, con vista su tutta Torino e le Alpi. Per una cena indimenticabile o anche solo un aperitivo nel bar-piattaforma. E siamo a due passi dalla stazione di Porta Susa.
Perché
Sono 167,25 metri, 25 centimetri in meno della Mole (una forma di rispetto: in centro la sede del Museo del Cinema è ancora l’edificio più alto), ma col modernissimo ascensore che parte direttamente dal marciapiede di Corso Inghilterra è un attimo. Il grattacielo Intesa Sanpaolo, sede del gruppo Bancario nel quartiere Cit Turin, aereo e leggero, è l’ennesimo capolavoro di Renzo Piano. 38 piani fuori terra, 6 interrati, offre uffici, un auditorium , e una spettacolare serra bioclimatica che ingloba gli ultimi piani in un grande cubo di vetro tra il 35esimo e il 37 piano. Un icona green che si alimenta con pannelli solari e acqua di falda: nel 2015 il “Green Building Council” gli ha conferito la certificazione Leed Platinum rendendolo il grattacielo europeo allora più ecologico e tra i primi dieci al mondo nella categoria New Constructions.
Proprio nella serra, su vari livelli, sorge il Piano 35, nido dello chef Marco Sacco e dello chef resident Christian Balzo. E la vista, da qui, su una città che vede pochi palazzi alti e si stende su un piano regolare fino ai primi contrafforti alpini è, smog permettendo, spettacolare.
Nel bar lounge soprelevato della serra trova posto anche un bistrot con servizi più veloci, con spazio per pranzi ed eventi aziendali, che dal mercoledì alla domenica propone business lunch (con “box” che si compongono pescando dalla carta), aperitivi con street food (10.15), drink, cene leggere e dopocena, con vista mozzafiato.
Il cuore del progetto è però il ristorante gastronomico nella sala interna (qualche tavolo in terrazza d’estate) dai grandi spazi, che nel 2022 ha guadagnato a chef Marco Sacco la terza stella Michelin nel 2022, dopo una prima stella al suo Piccolo lago di Verbania nel 2004, raddoppiata nel 2007.
Il gioco principale, qui, è una rivisitazione giocosa e brillante del menu classico torinese, con un’attenzione maniacale alle cotture, la presentazione, la materia prima e, nei dettagli, un respiro internazionale. Il tutto in complicità con un affiatata squadra di sala.
Tre i percorsi degustazione, ognuno in versione light o completa a seconda che si scelgano quattro o sette portate.
“In Piemonte”, forse quello da consigliare per una completa esperienza torinese, è un omaggio alla grande tradizione culinaria sabauda, con il vitello tonnato in forma raviolo (il vitello in rosa è la “pasta”, la salsa tonnata il ripieno), il Raviolo Torino nel succo di vitello e un filetto di sanato che arriva con salsa Perigord e tartufo nero. Nel “Giro d’Italia” a farla da padrona è la materia prima del Bel Paese, in una giostra di invenzioni che partono dal regionale e arrivano a una fusion raffinata. Il “Piccolo Lago” è una galleria da intenditore dei piatti più famosi della carriera dello chef Marco Sacco – qui affiancato da Christian Balzo – al bistellato di Verbania, con il Lingotto del Mergozzo – trota marmorata arrostita al faggio, polvere di pane al balsamico e gel di aceto di lamponi – che, da solo, vale l’ascensione.
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Il mercato di Porta Palazzo in Piazza della Repubblica, con il Mercato centrale nel Pala Fuksas.
Mercato centrale
L’esperienza
Un pranzo nel giorno del “Balon” nella cittadella dei sapori regionali, multietnici e creativi, nel cuore di uno dei mercati all’aperto più grandi (e multiculturali) d’Europa.
Perché
Il Balon è l’enorme, ormai secolare mercato delle pulci e dell’antiquariato nelle viuzze delle botteghe, i robivecchi e gli artigiani del quartiere di Borgo Dora, tra piazza della Repubblica e l’omonimo secondo fiume di Torino. In versione mignon ogni sabato, il suo vero rito di massa con centinaia di ambulanti di ogni genere e livello è ogni seconda domenica del mese.
Il sabato è però il giorno perfetto per vivere le botteghe del quartiere e, insieme, l’enorme mercato all’aperto di Porta Palazzo in piazza della Repubblica, una festa di ortaggi e frutta, formaggi e fiori, funghi e spezie esotiche. Da non perdere la Tettoia dei contadini, nell’angolo di nordest, con i prodotti freschi dell’Hinterland, appena oltre la Tettoia dell’orologio, che è invece quella delle gastronomie. A sudovest si compra il pesce, e sui banchi al centro della piazza, praticamente qualsiasi altra cosa. Tutto intorno, sotto i portici, ristorantini e negozi di liquori, macellerie arabe e magazzini low cost.
Il Mercato centrale, che chiude la piazza a nordovest nel Palafuksas, è un rifugio dove (salvo le ore di punta) si trova sempre un tavolino per sorseggiare un calice di vino dal bar enoteca. Poi si controlla al banco informazioni il calendario degli eventi – ci sono laboratori per bambini, eventi di yoga, musica e mostre nei suggestivi spazi sotterranei delle antiche ghiacciaie e degustazioni vinicole – e si inizia il giro dei suoi banchi-negozi-ristorantini. Ecco il fornaio per il pane sempre fresco, i dolci, le focacce, ecco la torrefazione didattica, la stazione della pasta fresca, i ramen e i gyoza (ravioloni nipponici) del maestro giappo-italiano Akira Yoshida. E ancora, i panini toscani e le sfogliatelle napoletane.
Si può fare la spesa in tutte le botteghe o mangiare i prodotti caldi e freschi sul posto. I tavoli del Mercato e nel dehors non hanno costo aggiuntivo, c’è il wifi, e tutto può essere ordinato prima on line per evitare le file.
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Mercato centrale Torino: le ultime novità
Al Mercato centrale di piazza della Repubblica è appena arrivato il Il Pesce, bottega e ristorante di Benito Di Mola e Sebastiano Pipicella. Con un’esperienza di oltre trent’anni sui banchi della sua pescheria nella vicina Porta Palazzo, Benito sa come selezionare il pesce fresco, Sebastiano è lo chef che lo lavora in ricette espresse mediterranee, dai Grand Plateau al polpo alla brace, e poi primi, fritti misti e tartare. I prezzi? Si va dai 50 euro per un Plateau Royal ai 18 per un primo di mare. Si consiglia l’antipasto a crudo (6 piatti). Meglio prenotare (al 324.56.56.386).
L’altra grande novità è la pizza del casertano Marco Quintili che oggi insegna tecniche avanzate di panificazione in giro per l’Europa. Qui si divide fra pizze e fritti sia classici, con grande attenzione a territorio e stagionalità, che d’autore. Per questi ultimi, lascia spazio alla creatività e si diverte a mescolare sapori e tradizioni di più regioni, in particolare Campania e Lazio. Un mito la sua pizza Amatriciana in fiamme con filetti di San Marzano DOP, cacio, pepe cuvée della Tasmania, mozzarella di bufala, guanciale di maialino lucano allo stato brado. Al tavolo, la pizza viene “accesa” con un liquido infiammabile realizzato dallo stesso Marco Quintili: il guanciale prende fuoco, il grasso si scioglie e il risultato è uno show per gli occhi e per il palato. Da provare anche le sue frittatine napoletane di pasta (amatriciana, piselli e salsiccia, cacio e e pepe, Nduja e Parmigiana). Le pizze partono da 11 euro, le frittatine da 4.5.
Mercato centrale Torino, Piazza della Repubblica 25, mercatocentrale.it. Domenica-Giovedì 7-23, venerdì-sabato 7-00. Si arriva in mezzoretta dalle stazioni Fs a piedi, 15 minuti in tram, ma volendo c’è il parcheggio a pagamento.
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Ristorante Carignano- Hotel Sitea
L’esperienza
Una notte con il menu Ral 6001 di Davide Scabin nella saletta del Ristorante Carignano, nell’Hotel Sitea di via Carlo Alberto.
Perché
Siamo nel salottino buono e sempre più pedonalizzato della città, a due passi da Piazza Carlina e i portici di Piazza San Carlo, nell’elegante via Carlo Alberto dove a marzo 2023 sono stati riaperti gli antichi giardini di Palazzo Cisterna. L’Hotel Sitea è un’icona dell’ospitalità sabauda, un sontuoso “Locale storico d’Italia” che compirà presto il secolo di vita. Il Carignano è il suo ristorante stellato dove si sono avvicendati molti dei grandi chef della regione.
Nella sua saletta tutta giocata dai toni bianchi del legno (dagli intarsi d’epoca all’arte contemporanea), dall’autunno scorso si può scegliere un unico menù. Ma non è un menù normale. Il Ral 6001 è la proposta-annuncio di Davide Scabin, scheggia impazzita e vate provocatore dell’alta cucina internazionale che, attraversate nell’ultimo decennio molte e diverse avventure, è da ottobre alla guida di tutta la ristorazione del Sitea.
Più che una cena, una notte di avventure guidata da un’idea del lusso come “abbondanza di cose deliziose”. Si inizia nel sontuoso american bar, tutto velluti e luci soffuse, per sorseggiare un Americano preparato dal barman Beppe Loi con focaccine al foie gras, Si finisce con i due menu caffè-tè dopocena – a scelta Sherry, sweets, cards and chats per gli amanti del dolce o Whisky, savouries and billiards per il salato (con notevoli butter cookies ai formaggi piemontesi) – tra i divani vittoriani e i candelieri dei salotti dell’hotel Sitea. A tarda o tardissima notte, secondo la vena dello chef. In mezzo il consueto ottovolante stile Scabin, acrobata del colore nel piatto, dell’amaro, dei nomi esoterici.
Si procede secondo il principio dell’Up & Down, innanzitutto: nessun rispetto per la classica scansione del fine dining italiano, labili confini tra piatti forti, intermezzi e amuse bouche, con i sapori forti e decisi all’inizio e una coda in calando. Si prosegue – tra servizi di piatti d’epoca e preziose posate spaiate recuperate dallo chef nei sotterranei dell’hotel – mescolando gloriose icone di quarant’anni di invenzioni e novità. Si potrebbe, in teoria, pescare dalla carta dei vini, o chiedere qualche variante dietetica, ma il consiglio è quello di lasciare le chiavi in mano al Maestro e ai sommelier Nicola Matinata ed Elisabetta Riccardi. E andare. Tra menu in copia limitata che mischiano computer graphic e caratteri mobili, grandi vini francesi e italiani e 13 portate-esperienza.
Ecco giochi all’aroma piemontese, classici dello chef come la Lingua brasata al Barolo, o nuovi scherzi come i piccoli plin, gli agnolotti torinesi (ma di cervo, in un consommé di seppia, serviti in un servizio da tè) e il risotto (ma in chiave Un piemontese a Tokyo, con cetriolo, ostrica e Guiness), i Bombolotti al sugo di coda, classico della cucina romana e il Colombaccio 3style (variante raffinata e morbida del piccione). Quando poi si pensa di aver capito il meccanismo i dolci partono, invece, dal più leggero: da un Aspic di agrumi all’hibiscus a una “Turin-Paris-Brest” con scarpetta finale nel Punt&Mes.
Il prezzo
Ral 6001 classic by Davide Scabin menu degustazione: sono 210 euro per poter dire “io c’ero” (pairing 10 vini 130)
Prenotazioni: ristorantecarignano.it, tel. 011.51.70.171
Opera
L’esperienza
Una cena-spettacolo con il Menu Opera, nel locale emergente, e già superpremiato, nascosto nella tranquilla Torino dell’Alta borghesia. Molti nuovi trend stanno pasando di qui, dove l’alta cucina è tutta in diretta.
Perché
Siamo a due passi dalla stazione di Porta Susa, dal Grattacielo San Paolo, da alcuni dei tipici vialoni più trafficati, ma in questa via secondaria, residenziale e tranquilla, niente disturba l’esperienza di un’alta cucina estremamente curata che sembra nascere e inventarsi ogni sera per ogni singolo ospite.
Il nome Opera si rifa allo show. Ogni sera è una rappresentazione in questo locale con la cucina in vista dalla strada che riusa i mattoni a vista e i soffitti a volta della foresteria del Santuario di Sant’Antonio da Padova. In strada, architetture dei primi del ‘900, qualche rimando liberty, marciapiedi immacolati, siamo nella Torino che vive bene e non ostenta. In sala tra i piccoli tavolini ben distanziati (non più di una trentina di coperti) si mescolano con nonchalance avvocati di grido e docenti internazionali del Politecnico, appassionati gourmand e turisti altolocati curiosi. Intorno, negli interni frutto di uno studio congiunto dello chef Stefano Sforza e di Antonio Cometto, giovane imprenditore, da anni impegnato in ambito ristorativo, i colori di base di un antico magazzino (quasi un “infernotto” , tipiche cantine torinesi del Settecento) si alternano a tocchi vegetali studiatissimi e arte contemporanea nelle “nicchie” dei muri.
La “cura”, in ogni senso della parola, qui è ovunque. A partire dai menù di chef Stefano Sforza, classe 1986, allievo di Pier Bussetti e Alain Ducasse, già al Cambio di Torino e al Trussardi alla Scala di Milano. Il suo lavoro è pulito, essenziale e insieme coloratissimo, attento alla stagione, alle icone regionali, e insieme al nuovo e all’internazionale (con un certo culto sottile delle geometrie e delle sapidezze orientali). Ma c’è anche l’attenzione all’ambiente (ad esempio nella gestione di “pesce alternativo” o nel taglio degli zuccheri raffinati), ai prodotti del territorio (molto arriva dal Mercato di Porta Palazzo e dagli orti dei proprietari) e alle verdure, che nei piatti hanno pari dignità e voce delle proteine animali (così come è “democratica” la distribuzione dei ruoli tra ingredienti poveri e nobili). Tanto che, a rotazione, lo chef propone un menu quasi esclusivamente green incentrato su una “famiglia ” di vegetali, in un gioco di variazioni, abbinamenti e cotture: nell’inverno del 2023 erano le Brassicacee. Si può scegliere dunque il menu a tema vegetale, pescare dalla carta (ma è un esercizio da avventori già esperti), oppure lasciarsi andare al menu Opera, che è un po’ il manifesto delle chef e della sua brigata di giovani.
C’è cura, qui, perfino nel cesto del pane – i grissini sono prodotti internamente così come il leggerissimo “wafer di farinata”. Cura nella cantina, regno di Carlo Salino, sommelier dell’anno a Identità golose 2022, che parte dal Piemonte, passa in Francia o in Germania e arriva in Nuova Zelanda, Grecia, Australia. Salino che nei suoi abbinamenti rutilanti (e su misura per il cliente, previa “intervista” iniziale) tocca anche il mondo del saké e dei distillati giapponesi, nei cocktail lungamente studiati per il menu d’autore. E lavora da tempo a un pairing di sole birre artigianali.
Cura nelle diverse “cerimonie” presiedute dal maitre Gualtiero Perlo. La scelta del menu. Ma anche il caffè: si sceglie tra 4 tipologie, di cui 2 miscele, Royal chocolate e Supreme, per chi ama i caffè speziati, e 2 monorigine (100% arabica del Guatemala e 100% Robusta dell’India). Da poco c’è anche il caffè preparato con il sifone, che permette con l’estrazione a caldo di caffè monorigine, blendati (Honduras e Guatemala) direttamente dal maître; si sceglie lo zucchero (biologico al cocco, alla cannella, tradizionale) e, per chi lo ama, il tè, si può optare per un vero percorso di miscele abbinate ai piatti. E tra l’ultima portata e il dessert, viene servita una specialità creata dallo stesso maître, un infuso che sostituisce il classico sorbetto.
Bevande esotiche, cocktail, il momento tè e quello caffè, così comee molti piatti, sono spiegati e completati da un’orchestra di camerieri che si alternano: spettacolo nello spettacolo.
E ancora luci soffuse, musica jazz, tutto per permetter al meglio l’incontro con piatti come (pescando dal menu primavera del 2023) la Carota con arancia e galanga, quasi un giocattolo gourmet, l’Animella con tamarindo e carciofo o lo Spaghetto alle lumachine di mare.
Aperto nel 2020, Opera ha già portato lo chef ha vincere il premio di Chef Emergente dell’Anno agli Awards 2020, e al ristorante il premio di TheFork e Identità Golose People Choice’s Award ritirato in occasione dei TheFork Restaurants Awards 2021. E dall’aprile 2022 il ristorante è entrato nella selezione della Guida Michelin.
Opera, via Sant’Antonio da Padova 3, tel. 011 1950 7972, operatorino.it Menu Opera 110 € comprensivi di coperto (consigliato per il tavolo) Abbinamento vini ATTO I 70 € 5 calici in abbinamento al menu ATTO II 140 € 6 calici di pregio del territorio e internazionali in abbinamento al menu. Abbinamento tè 50 €.
Piola da celso
L’esperienza
Un pranzo in una vera piola torinese, ruspante ed economica (con un assaggio di periferia e di Torino popolare).
Perché
La guida de I Cento di Torino di Edt edizioni, che ogni fine anno fa il punto sulla ristorazione torinese ha molti meriti, ma il più prezioso è forse il suo monitoraggio delle 50 piole torinesi. Una missione che sostiene questa istituzione della città. La piola per i torinesi, è la trattoria sabauda di quartiere, con menu semifisso tutto locale, prezzi modici, modi spartani. Per capire la città, almeno una cena andrebbe fatta qui.
Sì ma, in quale delle piole? Cianci, molto famosa, nella deliziosa Piazzetta IV Marzo a un passo da Palazzo di Città (il comune) e dal duomo, è ottima ed economica. Si fa la fila però (non si può prenotare) e gli spazi ristretti possono non piacere a tutti. Caffè-vini Emilio Ranzini (via Porta Palatina 9/G, tel. 011.76.50.477), a due passi, è praticamente un’icona, con un mini cortile e i concertini in strada, la sua specialità però è un bicchiere di vino sfuso con un tagliere più che il pasto completo, e la celebrità può rendere difficile entrarvi.
Un indirizzo affidabile, sempre tra i primi nelle 50 piole de I cento può essere allora la Piola da Celso.
Per arrivarci bisogna spostarsi a un quarto d’ora dal centro, nei pressi del grande e soprattutto lungo mercato all’aperto di via Racconigi, in Cenisia, in una zona veracemente popolare e sicuramente sconosciuta al turismo. La ricompensa è però un vero rifugio di quartiere a gestione familiare dove trovi studenti fuorisede, famiglie, locali che si conoscono tra loro. Meglio capitare, a pranzo, durante il mercato (per la cena meglio prenotare). Vino sfuso nel quartino, menu recitato a voce (ma c’è sempre la stessa dozzina di piatti) tovaglie a quadri, i ravioli del plin arrivano direttamente nel tegame, i dolci li fanno loro, i salumi (e il vitello tonnato), lo affettano dietro il bancone del bar. Si sente addirittura parlare vero dialetto piemontese.
Le cameriere, figlie del Celso fondatore (venuto dal Veneto una vita fa), arrivano con tajarin e gnocchi, brasati, l’immancabile insalatona russa d’antipasto, tagliatelle al ragù e pane casereccio. Ma si può incontrare anche un arrosto o un baccalà. E la classica torta pere e ricotta alla fine. Da poco propongono un “menu tutto piemontese” da 32 euro (con 3-4 antipasti caldi e freddi), ma ci si sfama largamente anche col fisso del giorno a 25, o scegliendo un paio di piatti per 15-20 euro. Chiuso, come quasi tutto a Torino fuori dal centro, la domenica.
Piola Da Celso, via Verzuolo 40, tel. 011.43.31.202, hanno la pagina Facebook ma poco aggiornata (non è cosa da loro).
Azotea
L’esperienza
Una full immersion nelle nuove tendenze. Per andare oltre il solito orientale con una curata ed elegante fusion di base nippo-peruviana, colorata dagli ingredienti all’impiattamento. Oltre il solito bloody Mary con i cocktail low alcool (o no alcool) che mescolano oriente e occidente, distillati orientali e frutta tropicale.
Perché
Azotea, a due passi dal lungoPo, da Piazza Vittorio e dal Parco Valentino, dove si infittiscono localini e cocktail bar, continua a vincere premi e riconoscimenti. L’ultimo, a fine marzo è stato l’ingresso nella Guida Identità Golose 2023 di Azotea (e il premio della sezione Contaminazioni).
Siamo in un vecchio palazzo torinese, tra mattoni a vista, luci soffuse da speakeasy, piante e tocchi vintage-orientali. Per Azotea (“terrazza”) tutto è iniziato con un bar a Laigueglia, in Liguria, giocando con i cocktail e le tapas nikkei (la rutilante cucina nippo-andina). Qui però si fa molto più sul serio. Si sceglie tra la Saletta tropicale appena di fronte all’ingresso, la più tranquilla, la Sala Verde sul dehors e la intima e dorata Cocktail Room dove i più curiosi possono consumare al bancone studiando davanti a qualche tapas di streetfood amerindo le evoluzioni e ascoltando i racconti del barmanager viaggiatore Matteo Ferraro, una metà della coppia anima del locale (l’altra è Noemi dell’Agnello, che lavora in sala). La parata di bottiglie è veramente intercontinentale.
Si bevono meraviglie che mescolano e spezie fresche e fermentati nipponici, distillati europei e succhi amazzonici, grani andini rari e whiskey arrivati da Tokyo in bicchieri soffiati artigianalmente, infusiere, copitas sudamericane e coppe d’epoca, si mangia in piatti, ciotole di ceramica, vetro, legno e pietra, sempre tutto molto colorato.
Si consiglia di scegliere con il pairing di sip, piccoli cocktail (a bassa gradazione se ne possono bere anche più di 5 in una sera senza problemi). Esempi? Cocktail che raccontano più mondi come il Cynara, con tequila infuso ai fiori di malva, Cynar, mezcal, pompelmo rosa, Cointreau, lime, agave syrup, maroccan bitters, o il Freezed Oyster Martini con gin infuso con foglie di ostrica, vermouth dry, bitter al luppolo e pompelmo e soluzione salina.
Spazio ora alla cena. Classe 1988, Alexander Robles è l’executive chef di Azotea, nato nella peruviana Cuzco. Di piatto in piatto, di sorsata in sorsata, si imparano parole che rimbalzano continuamente dall’estremo oriente al Sudamerica: platano e funghi enoki, canchita, manioca e leche de tigre, camote, salsa tonkatsu, achiote, rocoto, aji amarillo, bok choy, daikon, dulce de leche. Ecco ingredienti e tecniche giapponesi in una ricetta sudamericana, o l’esatto contrario, con qualche omaggio al Piemonte e all’Italia. Zuppe e ceviche, Gyoza e Tajarin. Giochi, che esaltano però sempre il pesce fresco italiano e le celebri. Per una serata all’insegna dello spettacolo e dell’invenzione.
Azotea Via Maria Vittoria, 49/B, azoteatorino.com, prezzo medio 38 €, menu degustazione 65 €
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