Volare in Argentina per un aperitivo. Follia? No. Alla fine di questa storia, tutto avrà un senso. Perché incontrare Chandon Garden Spritz nel luogo dove è nato, toccare con mano la terra e gli aromi che lo hanno forgiato a più di 11 mila chilometri dall’Italia, vuol dire assaporare un pezzo di cultura e storia locale, significa immergersi in un mondo di creatività e lavoro, fatto di persone che vivono a Mendoza, città nel cuore della zona vinicola del Paese, ai piedi delle Ande. In due parole, conoscere un luogo sorseggiando emozioni.
Tutto nasce da un visionario
Alla fine degli anni ’50, il visionario Robert-Jean de Vogüé, allora presidente di Moët & Chandon , il marquis rouge, (l’imprenditore socialista, che aveva conosciuto la deportazione e i lavori forzati in Germania e sempre schierato dalla parte dei viticoltori vittime di prigionia), partì alla ricerca di nuovi terroir per esportare non bottiglie, ma savoir-faire. E li trovò, a bordo di una Citroen 2cv, in Argentina, a Mendoza, in un semi-deserto al cospetto delle Ande.
Chandon Argentina nasce nel 1959 a Agrelonear Lujánde Cuyo ad un’altitudine di oltre mille metri. E qui si produce il classico spumante argentino, costituito dall’unione della migliore uva Chardonnay e Pinot Noir. In 60 anni la comunità e la filosofia Chandon è approdata in California, Brasile (1973), Australia (1986), in Cina (2013) e in India (2014) con 1.389 ettari di vigne e una rete di coltivatori di fiducia, ‘la nostra famiglia’ come amano definirli.
I 64 tentativi di Ana Paula Bartolucci per la ricetta perfetta
Si torna in Argentina per vedere nascere l’ultima creazione della Maison Chandon, Chandon Garden Spritz, aperitivo ready-to-serve. La base è una cuvée Brut di alta qualità dello spumante Chandon, fatta con uve Chardonnay, Pinot Noir e Sémillon coltivate a Mendoza. Allo spumante è stato aggiunto un liquore all’arancia amara, realizzato a mano secondo un’antica ricetta artigianale che prevede un mix di bucce d’arancia, erbe e spezie macerate separatamente per un periodo da sei settimane ai sei mesi, e che conferisce note aromatiche legnose, calde ed erbacee.
Le arance sono quelle locali di Valencia, coltivate secondo i principi dell’agricoltura biologica in una fattoria a gestione familiare di Entre Rios, nel nord-est dell’Argentina. Da gustare rigorosamente on the rocks con l’aggiunta di una fettina di arancia essiccata e un rametto di rosmarino (o con una stecca di cannella in inverno). Tutto naturale, poco alcolico (11,5%), vanta la metà di zucchero in meno rispetto a un classico drink da aperi
tivo. “Ci sono voluti quattro anni di lavoro e 64 tentativi prima di arrivare alla ricetta perfetta” racconta la winemaker di Chandon Ana Paula Bartolucci, nata 31 anni fa a Mendoza, a 60 km dalle cantine Chandon, prima donna a conquistare questa posizione in Chandon.
Era naturale per una ragazza nata tra le vigne, laurearsi in enologia e partire in Spagna, California, Sud Africa per prepararsi con passione a una carriera nel mondo dei vini. Ana Paula conquista il posto in Chandon dopo una durissima selezione (‘”Una specie di Grande Fratello con 400 candidati”) e un colloquio finale -un test a occhi chiusi- con il mitico Onofre Arcos, terzo chef de cave e per 45 anni al servizio della maison (la cantina dell’azienda non a caso porta il suo nome: ‘Cava Onofre’), quattro anni fa sostituito da Diego Ribbert, oggi direttore enologo.
“Mia nonna, ecco la mia ispirazione, devo a lei il ricordo dell’orangecello”
Gli occhi di Ana Paula si accendono nel ricordo di quell’esame superato su spumanti sconosciuti e della conquista del lavoro dei sogni. “Nel 2017 mi è stata lanciata la sfida di creare questo nuovo prodotto. Ero la più giovane del gruppo, giravo nei bar per conoscere i gusti degli aperitivi. Abbiamo capito che le persone non sapevano esattamente cosa c’era nei bicchieri. Sapevamo di avere un vino di ottima qualità e la sfida era inventare un aperitivo pronto da bere, partendo da un grande ingrediente. Un approccio che guardava al mercato, ma anche un esperimento vero e proprio”.
E qui entra in scena un ricordo della nonna Ana: “La mia ispirazione è stata la sua ricetta dell’Orangecello (tipo il nostro limoncello, ndr) e del suo bellissimo giardino con la frutta fresca. E poi la sua cucina sempre immersa nelle spezie e nelle erbe aromatiche”. E ancora: “Così abbiamo passato mesi per selezionare un’azienda sostenibile che non usasse pesticidi sulle arance. Per noi era importante, perché utilizziamo solo le bucce e volevamo creare lo spritz più naturale possibile. E le prove per trovare il punto perfetto dell’amaro nel liquore sono state infinite”.
Ana ci racconta questa storia affondando le mani nei cestini pieni di cannella, cardamomo, pepe rosso, peperoncino… chiedendo di toccare, odorare, di capire attraverso i sensi una storia che le ha cambiato la vita. Come quella di diventare mamma un anno fa “ma in un’azienda che mi ha permesso di rientrare gradatamente con un part-time”. E anche se non è semplice, (ma dove lo è?), bilanciare lavoro e famiglia, riesce comunque a ritagliarsi spazi per godersi una buona cena nei suoi ristoranti preferiti (El Ilo, o El Origen de i, ) o un una gita alla diga Potrerillos sul rio Mendoza, a un’ora d’auto dalla città, nella natura incontaminata di questo angolo del paese.
Sostenibilità e l’ingegnere ‘roditore’
Sostenibilità è la parola che più sentiamo ripetere in zona, perché qui è palpabile la preoccupazione legata allo sfruttamento di un territorio delicato da preservare, scosso, come ogni angolo della terra anche dal cambiamento climatico. Fanno impressione le cime delle Ande (oltre 6 mila metri), che incorniciano gli splendidi vigneti, imbiancate da rade spruzzate di neve.
“Dal 1953 al 2019 abbiamo visto una riduzione dei ghiacciai del 69%. Questo ha una grande impatto sulla processo di irrigazione delle vigne” -spiega Daniela Mezzatesta , ingegnere agrario, manager CSR per Chandon –“ oggi i campi vengono irrigati in modo proporzionale alla profondità del suolo grazie alle tecnologie e non viene sprecata nemmeno una goccia d’acqua”.
A 34 anni, “la Ingeniera Tunduque” , come l’hanno soprannominata, visto che, come il roditore delle vigne (il Mendoza tucu-tucu), passava tutto il suo tempo a scavare, racconta della sfida di tenere in vita un vigneto, quello della tenuta Chandon “Cepas del Plata“, a 1500 metri sul livello del mare nella valle di Uco, nato in un suolo desertico. “Il lavoro dei ricercatori è a disposizione di tutti, collaboriamo con le università locali, con i contadini del luogo, per condividere ogni singola informazione. Parlare di agricoltura rigenerativa qui è parlare di sostenibilità”. E visitare la tenuta in sella a un cavallo è forse il modo migliore per capire la scelta di questa ragazza di trascorrere la sua vita tra zolle e filari.
Malbec, che storia!
“Siamo sempre alla ricerca di nuove strade per migliorare” – incalza Hervé Birnie-Scott, direttore di Chandon Argentina e fondatore di Terrazas de los Andes, cantina pioniera della viticultura in alta quota, a 20 km a nord da Cepas de Plata. “Circa 30 anni fa abbiamo iniziato ad utilizzare l’irrigazione a goccia per risparmiare acqua, ma oggi abbiamo fatto un ulteriore passo avanti.
Grazie alle analisi precise dei dati sul terreno, siamo in grado di fornire alle piante solo la quantità esatta di acqua di cui hanno bisogno. Questo significa che ogni anno riusciamo a risparmiare oltre 4 milioni di metri quadrati di acqua. E continueremo a cercare nuovi modi per migliorare e fare la nostra parte per proteggere l’ambiente”.
Mentre visitiamo le cantine di Terrazzas, tra anfore di terracotta o ceramica, Hervé Birnie-Scott racconta, come una favola, la storia del vitigno Malbec, nato in Francia, importato alla fine del’800 in Argentina. “Per anni protagonista dei vini di Bordeaux, dopo un triste declino, oggi è tornato sulla scena, anzi a una nuova vita, grazie alle incredibili condizioni tra i picchi delle Ande: il clima, secco e caldo di giorno previene l’insorgere di malattie dovute all’umidità e l’incredibile varietà del terreno ne diversifica il sapore ”. Oggi l’85% di Malbec viene prodotto qui a Mendoza. La maggior parte della produzione vinicola argentina (circa il 70%) è concentrata in questa regione (e ricordiamo che nell’emisfero australe le stagioni sono invertite rispetto alle nostre, la vendemmia delle uve bianche si effettua in genere ad inizio marzo e quella delle uve nere dalla metà sino alla fine di marzo).
Il guardiano delle montagne
I vini rossi di Terrazas de los Andes esprimono quello che Birnie-Scott chiama “il gusto fresco della magia della montagna”. Ed esibisce con orgoglio l’ultimo nato, il Terrazas de los Andes Reserva Cosecha 2021, lanciato sul mercato a marzo 2023.“Queste montagne e gli alti terrazzamenti ci hanno dato il nostro nome, il nostro stile di vino fresco caratteristico del luogo, la nostra casa, di cui siamo custodi, impegnati nella cura di questo fragile ecosistema”. Nel 2022 è stato anche nominato “Personalità verde dell’anno” ai Drinks Business Green Awards. Mendoza gli ha donato una famiglia con quattro figli e la possibilità di arrampicarsi sulle montagne più alte del mondo nel tempo libero.
E si sente davvero uno dei “Guardians of Mountain Life”, nome del programma della cantina (che ha come motto “Dove la terra incontra il cielo”), che si impegna nella viticoltura rigenerativa e biologica, nella conservazione delle acque dei ghiacciai, nel sostegno alla biodiversità, nella riduzione dell’impronta di carbonio e nell’istruzione e supporto per la comunità locale. Programma di sostegno che anche Chandon ha con “Educate In Harvest”.
“I nostri programmi hanno un impatto su più di 1.500 bambini e 60 di 18 scuole pubbliche vicine alla cantina” conclude Hervé Birnie-Scott. Le visite a Terrazzas de los Ande sono aperte al pubblico e, volendo, si può anche soggiornare in una delle 6 camere della guest house, decorate in stile ispirate ai vitigni: Malbec, Cabernet Sauvignon, Syrah, Merlot, Petit Manseng e Torrontés.
Stella a sette punte
Termini sempre più familiari se si trascorre del tempo qui con persone che ti insegnano la differenza tra bere e degustare. “Avere il potere di creare un’opera d’arte, da un semplice grappolo d’uva, in modo naturale, è un progetto straordinario-conclude Diego Ribbert– e questa terra ti spinge alla ricerca continua. Chandon è leader delle bollicine in Argentina e il nostro marchio è una stella a sette punte: ognuna rappresenta una delle sei cantine nel mondo e, la settima, un tributo allo spirito fondatore francese. Mi piace l’idea di avvicinare sempre di più il pubblico alle bollicine. E Chandon Garden Spritz , con il nostro Chandon Brut come vino base, è una porta nuova su questo mondo”.
Ma è anche un viaggio che parla di uva raccolta a mano, di 704 ore passate a pelare 2,5 tonnellate di arance, di 100 km di bucce utilizzate all’anno. E di voci, come quella di Ana, Daniela, Hervé, Diego, che ai piedi delle Ande raccontano pezzi della loro vita. Emozioni che si possono sentire sorseggiando un aperitivo che arriva da lontano.
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