Grand Tour delle donne in Toscana: 4 tappe a Siena e dintorni, tra storie di imprenditrici e artiste
Un mosaico di centri storici che conservano preziosamente le loro architetture, e poi colline, poderi e campagne bucoliche. Un pezzo di patrimonio dell’umanità toscano è concentrato a Siena e dintorni. La città da sempre antagonista di Firenze è il fulcro di un itinerario in Toscana che è un tuffo nel medioevo, ma anche nelle meraviglie del gotico e del rinascimento, da cogliere attraversando il suo stretto reticolo di stradine acciottolate, piazze e bastioni, seguendo la vitalità delle 17 contrade.
Il Grand tour delle donne in Toscana, il nostro progetto editoriale che racconta la regione attraverso le protagoniste del territorio, è un viaggio nella bellezza, nel cuore più intimo della Toscana, nella campagna dai paesaggi cangianti, che digradano dalla terra d’oro, disegnata dalle molteplici sfumature dello zafferano, alle colline ricoperte di viti fino ai pini dipinti nella più eterna delle cartoline toscane: la Val d’Orcia.
Il Grand tour segue i passi di Benvenute, progetto sul turismo femminile avviato da Toscana promozione turistica per costruire un’offerta e un’accoglienza fondate sulla cura e l’ascolto delle viaggiatrici, in una regione tradizionalmente sensibile ai diritti delle donne. Sempre qui, infatti, ha preso vita anche “la Toscana delle donne”, un contenitore dedicato ai diritti e ai talenti femminili. Come quelli delle quattro donne protagoniste di questa prima parte del viaggio, che qui si raccontano e spiegano perché aspettano a braccia aperte tutte le viaggiatrici di passaggio a Siena.
Serena Bianciardi, l’accoglienza a misura di donna
L’hotel Athena di Serena Bianciardi si trova nella contrada Pantera, a pochi passi dalle mura senesi, punto di partenza del Grand Tour delle donne. Centrale, eppure defilato, all’ingresso della porta Laterina. Una grande struttura con 100 camere, all’inizio pensata come residenza universitaria dal nome Atheneum, che richiama la vocazione di città universitaria di Siena.
“Veniamo da una famiglia di mobilieri, l’edificio che ospita Athena era una fabbrica di mobili, poi riadattata da mio padre negli anni 70” – racconta Serena– “Mio padre fu un pioniere in un periodo in cui le citta d’arte avevano meno appeal rispetto a quelle di mare e i turisti italiani erano pochi. Ricordo le mie estati spensierate a salire e scendere nell’ascensore dell’hotel con mio fratello; a 14 anni però le nostre vite cambiarono bruscamente quando mio padre venne improvvisamente a mancare. Dai miei 18 anni ho iniziato a gestire il check in e le colazioni, poi la clientela straniera e il marketing delle vendite, campi che seguo tuttora. Mi definisco una vera locandiera, nel senso più intimo, mi prendo cura, cioè, dei miei clienti con gesti d’attenzione”.
L’hotel scandisce le pagine degli ultimi 50 anni di turismo a Siena, cambiato, mentre la bellezza della città è rimasta cristallizzata insieme alla sua anima medievale e alle contrade che l’avvolgono e si prendono cura di lei, mantenendone integri i valori e rendendola una città sicura: “La sicurezza – aggiunge Serena – è prioritaria anche per noi: abbiamo diverse viaggiatrici sole che riconoscono come valore aggiunto poter accedere direttamente dal parcheggio all’hotel, avere una portineria h24 e un sistema di video sorveglianza su tutti i lati. E ciò che conta ancor di più per me sono i dettagli che fanno star bene la viaggiatrice. A questo fine ho creato la formula Lady room, con una mappa per lo shopping, un set di cortesia completo, persino con un paio di collant, oltre al room service gratuito”.
Sara Cafarelli: l’anima artistica di Siena in contrada Giraffa
Un’altra contrada, quella della Giraffa, raccontata da un’altra donna senese, Sara Cafarelli, in arte SACAF, classe 75, ritrattista introversa, figlia di uno dei disegnatori del carosello Calimero, da piccola abituata a cogliere le sfumature di una città scrigno di storia e arte. La sua galleria in via del Giglio è un crogiolo di colori, di tele e di passioni, una fucina di idee.
“Sono nata e cresciuta nella contrada Giraffa, da piccola facevo i compiti insieme ai ragazzi di queste strade. Ho imparato il senso della condivisione e dell’umiltà. La passione per il disegno me la porto dietro da piccola, e dai miei 16 anni, quando mio padre morì prematuramente, si è trasformata in desiderio di realizzare un sogno. Ho fatto l’arredatrice per dieci anni e ho curato alcune piccole esposizioni. Poi, nel 2008, il professore di semiotica dell’arte, Omar Calabrese, mi segnalò che al Moma di New York avrebbero selezionato delle opere di giovani artisti internazionali e così, poco fiduciosa, ne mandai tre mie”.
Ma la svolta arrivò più tardi, come Sara spiega a DOVE: “Scelsero una mia opera che conservarono nei magazzini del Moma fino al 2012, quando venne esposta nella sezione giovanile del prestigioso museo. Da allora iniziai a quotare i miei quadri e a ricevere una forte attenzione mediatica. Venne anche organizzata un’esposizione a Siena a cui parteciparono 1800 persone. Fu quello il momento della carriera in cui decisi di prendermi una pausa: intrapresi il Cammino di Santiago, un viaggio che mi ha dato la consapevolezza delle scelte, dove la natura mi ha offerto spunti che spesso si intersecano con iolti femminili delle mie tele”.
Da allora Sara ha esposto quasi ovunque in Europa, ma via del Giglio è rimasta la fucina delle sue idee, dove continua a vendere i suoi quadri, dialogando con i clienti .
San Gimignano: sulle tracce dello zafferano con Genziana Pompei
Salendo i tornanti che portano a San Gimignano, il primo colpo d’occhio va alle 14 torri medievali, tra cui la Torre Grossa con i suoi 54 metri. Chiamata la Manhattan del medioevo per il suo skyline, è uno dei più caratteristici borghi medievali toscani, patrimonio dell’Unesco, rimasto pressoché intatto dalla fine del XIV secolo. Queste torri erano simbolo dell’opulenza, diffusa a San Gimignano grazie alla produzione e al commercio dello zafferano.
Intorno all’oro giallo gravita ancora oggi un mondo a sé, di cui fanno parte anche Genziana Pompei e la sua Locanda Santagostino: “Per me lo zafferano è soprattutto un colore – racconta – perché prima di essere una chef sono una pittrice. Ma siccome sono anche madre di quattro figli, ho seguito in maniera più totalizzante quella per la cucina, più remunerativa”.
Genziana racconta così il suo percorso da imprenditrice: “Lo zafferano è stato il mio compagno costante nel percorso culinario: vivo in un territorio dove nel 95, quando ho avviato la mia attività, c’erano diversi piccoli produttori di questa preziosa spezia”. Oggi, anche il locale è a sua immagine, e tutte le pareti sono dipinte da lei: “il mio obiettivo è far stare bene i clienti in un ambiente confortevole. I miei menu sono studiati per creare un equilibrio tra estetica e sostanza, vista e benessere: uso solo pane artigianale, le verdure provengono da un’azienda biodinamica, attingo in generale a una realtà locale, facendo leva sull’interscambio umano, ricercando costantemente la territorialità”.
Tra gli avventori Genziana segnala un pubblico prevalentemente femminile: ”Da me arrivano tante viaggiatrici sole che poi ritornano. Spesso le donne sole portano al ristorante un universo di solitudine, cambiamenti, separazioni, malattie o hanno semplicemente voglia di ritrovare sé stesse. Io non sono curiosa ma provo a metterle a loro agio. Di solito parlano subito oppure ritornano due o tre volte per pranzo o cena e alla fine si aprono. Ci sono anche viaggiatrici che viaggiano per il piacere di farlo, sono curiose, positive,vogliono esplorare il territorio, hanno già in mente cosa fare, ma desiderano condividerlo. E il momento del pranzo è sempre un momento di condivisione anche se si è soli”.
Tra Montepulciano e Pienza: Silvana Cugusi e il pecorino di Pienza
La storia di Silvana Cugosi è la storia della fine della mezzadria in Toscana, iniziata negli anni 60 con l’abbandono delle campagne, compensato poi dall’immigrazione dei pastori sardi che importarono qui la cultura del pecorino. La Val d’Orcia era uno dei paesaggi più belli d’Italia e attirava sempre più famiglie sarde. Una di queste era la famiglia di Raffaele Cugusi, il capostipite: “Sono arrivata con i miei genitori a nove mesi- racconta la figlia Silvana, attuale proprietaria del caseificio Cugusi, insieme ai miei otto fratelli e mia nonna. Provenivamo da un paese del nuorese che si basava sulla pastorizia, avevamo pecore e mucche e coltivavamo miele, mio padre gestiva le pecore in quota, mia madre aveva la latteria in paese. Durante un corso serale di agraria mio padre rimase folgorato dal fenomeno della fuga dalle campagne che stava avvenendo nel centro-nord d’Italia. In due mesi vendette case e terreni e acquistò un podere in Toscana”.
Una svolta che fu una prova per tutti: “L’inizio fu molto difficile, era marzo, le strade erano fangose, piene di creta e argilla e mia madre si trovò a dover gestire 320 ettari di terreno con 10 casali e un caseificio”. Fu in questo contesto che la famiglia iniziò a produrre il pecorino di Pienza, apprendendo l’uso di un caglio vegetale, adattandolo però alla tecnica sarda: “A vent’anni sviluppai una vera passione per i prodotti caseari: ottenere una materia dal latte era magia, potersi sbizzarrire nelle forme, nelle pezzature, nei sapori, ispirandosi al territorio, sotto foglie di noci, sotto crusca, sotto fieno”.
Una produzione che racconta il territorio in modo potente: i sardi hanno raccolto il testimone dai contadini toscani che producevano formaggio tramandandone le ricette di generazione in generazione. “Da 30 anni abbiamo iniziato con le degustazioni e da 11 con l’allestimento di aree di picnic, attive da marzo a ottobre”, conclude Silvana. “Sentivamo l’esigenza di offrire. oltre all’eccellenza dei prodotti. anche il contesto autentico dove gustarli. E qui siamo ai piedi di una terra meravigliosa come Montepulciano, incastonata tra Valdichiana e Val d’Orcia”. Praticamente il paradiso delle donne.
Scopri di più: toscanapromozione.it
Leggi anche: Grand Tour delle donne, viaggio al femminile nel cuore della Toscana
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