Migrazioni Verticali: il sito che racconta “un’altra montagna”

Sembra proprio che il 2022 sia l’anno della montagna. E non solo perché l’ONU ha stabilito che questo è l’International Year of Sustainable Mountain Development, o perché, a 40 anni dall’ultimo disegno di legge, ora c’è, nel nostro Paese, un nuovo provvedimento che dovrebbe mettere le basi per un suo rilancio, considerando poi che i fondi per lo sviluppo delle montagne italiane sarebbero 100 milioni oggi e ben 200 a decorrere dal 2023.

Il 2022 sarà infatti anche il 70esimo compleanno dell’Uncem, l’Unione Nazionale degli Enti Montani, il 100esimo del Parco Nazionale del Gran Paradiso e di quello d’Abruzzo, Lazio e Molise. Quello che sta succedendo alle Terre Alte, però, va oltre un elenco festante di anniversari. È una sorta di ripensamento collettivo, nell’identità e nella frequentazione, che anima centri di ricerca universitari come amministrazioni o associazioni delle piccola comunità montane.

Metromontagna per esempio, è solo l’ultimo neologismo nato per indicare il nuovo sguardo rivolto alla montagna: lo si deve ad Antonio De Rossi (libro edito da Donzelli nella serie di Riabitare l’Italia), direttore del Centro di Ricerca IAM, Istituto di Architettura Montana del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, ma, come ha detto Gianluca Cepollaro, vicedirettore della Trentino School of Management e responsabile di Accademia di Montagna: «Basterebbe guardare l’evoluzione del Trento Film Festival per accorgersi di come sia cambiata la percezione della montagna: una volta i film raccontavano di ferrate e conquiste muscolari delle vette, ora di territorio, cambiamento climatico, connessione con la natura, vita rurale». Ma è davvero così?

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Migrazioni Verticali: il sito che racconta “un’altra montagna”

«Un anno fa ho attivato Google Alert per ricevere avvisi rispetto alla presenza sul web della parola “montagna”. Il 99 per cento dei link che tutt’ora arrivano nella mia casella mail parlano di grandi imprese sulle vette o di tragedie. Nonostante quello che si possa pensare, la montagna, almeno nella narrazione mainstream, è ancora nella sua dimensione “eroica”. Io desideravo invece un luogo dove le valli e le località montane si raccontassero per quelle che sono: territori spesso in “salita”, ma dove alla fine si può anche vivere. O almeno si può scegliere di farlo».

Quel luogo è il sito Migrazioni Verticali, dove Manuela Mimosa Ravasio raccoglie, dopo un inizio sperimentale su ClubHouse a febbraio 2021, riflessioni, o meglio desideri a leggere il claim, di “un’altra montagna” (migrazioniverticali.it).

«Sono desideri perché io stessa mi definisco “aspirante migrante verticale”, e perché, nei miei sempre più lunghi soggiorni in quota, ho capito che prima di tutto, se volevo rispettarla, la montagna la dovevo studiare, il che per me significa “scriverla”».

Non solo per lei. La profusione di libri (Cognetti docet, con il film tratto dal suo Le otto montagne, regia di Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, in concorso per la Palma d’Oro al prossimo Festival del cinema di Cannes), siti, account Instagram, che riguardano Alpi e Appennini, è in continua ascesa.

«Non ho nessuna pretesa di essere una capocordata! Ho i miei “maestri”, come Franco Arminio o Antonia Pozzi; da giornalista seguo ricerche e studi come quelli di Riabitare l’Italia sui giovani “restanti”, leggo tutto quello che riesco e, soprattutto, ascolto chi in montagna ci vive da sempre. Con Migrazioni Verticali voglio solo condividere la “mia” montagna, che poi è fatta di persone che spesso non si ritrovano nelle narrazioni comuni delle terre alte, che il più delle volte oscillano tra il racconto di un mondo idealizzato e felice e quello di un luogo rischioso e inospitale».

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Bivacchi d’autore, racconti partecipati, storie in alta quota

In Migrazioni Verticali trovano così spazio le storie di Alt(r)i luoghi come Melle in Valvaraita o Paraloup; di Gente Comune come la pittrice Barbara Tutino che sta ritraendo gli abitanti di Cogne nel tentativo di costruire una memoria futura; ci sono le Architetture Alpine di bivacchi e rifugi dal design estremo; e anche i Pensieri in Salita, la parte più riflessiva sul territorio della montagna, spesso con progetti sperimentali di narrazione partecipata come nel caso de Le Dolomiti del Silenzio di Isoipse Impresa sociale, sviluppato insieme all’Università di Udine e alla Regione Friuli Venezia Giulia, nell’ambito della Convenzione con la Fondazione Dolomiti UNESCO.

«La montagna per me è ispirazione e aspirazione insieme. Mi piacerebbe che venisse fuori questo», dice Ravasio. «Recentemente, sono stata a un evento a Borgata Paraloup dove ci si è chiesto cosa e chi fossero la montagna o i montanari. E davvero solo una questione di altitudine? Perché in montagna si stanno facendo delle riflessioni sul valore della comunità, sull’ambiente e sulla qualità della vita, che valgono per ogni altezza o latitudine. Ed è vero quando si dice che la montagna oggi è il vero laboratorio per l’innovazione, anche sociale».

Come nel caso del borgo di San Leo in Valmarecchia, “ospite” con Samuele Nucci a un evento ClubHouse di Migrazioni Verticali lo scorso anno e da poco scelto da Euromontana, con la cooperativa di comunità Fermenti Leontine, già sostenuta dalla Fondazione Garrone che da anni si occupa di aiutare i giovani che vogliono fare impresa sulle Alpi e gli Appennini, come una delle 17 associazioni capaci di guidare il cambiamento nelle aree montane.

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La montagna come luogo di innovazione

Raccontare dunque la montagna come luogo di innovazione, questa la sfida. Parafrasando quello che scriveva il poeta e ambientalista Gary Snyder sulla natura, “non un posto da visitare, ma da abitare”. Lo cita anche Luca Mercalli nel suo Salire in montagna (Einaudi), in cui indica la montagna come via possibile per sfuggire al riscaldamento globale causato dal cambiamento climatico.

Valentina Boschetto Doorly, nel suo La Terra Chiama (Il Saggiatore), dedica invece un capitolo ai “nuovi highlander”, vecchi montanari, amenity migrant e montanari per scelta, assicurando che sarà la montagna la scelta del futuro, sostenuta anche da sportelli di formazione per “futuri montanari” come Vado a vivere in montagna e Vieni a vivere in montagna di InnovAree, partner del Centro per l’Innovazione Sociale SocialFare, o come la GrandUP! IMPACT Mountain School (seconda edizione dal 19 al 24 luglio 2022 a Ostana, ai piedi del Monviso).

Anche tutto questo trova posto in Migrazioni Verticali. «Mi chiedo spesso, visto che si parla molto di ecologia e sostenibilità, cosa sia una comunicazione sostenibile. Nel caso della montagna, mi sono chiesta se raccontando la montagna come “luogo altro”, rifugio del corpo e dello spirito, non si rischiasse di farlo diventare l’ultimo luxury escape della contemporaneità. Peggio della retorica, c’è solo lo snobismo.

È allora che cerco di ascoltare le parole dei e delle montanare. Giorni fa ho fatto per esempio il viaggio in auto verso Borgata Paraloup, un’ex borgata partigiana che la Fondazione Nuto Revelli ha trasformato, ai 1360m di Rittana, in un centro culturale sulla montagna, con la responsabile del coordinamento Donne di Montagna nato in Val Maira, Patrizia Palonta.

Mi ha raccontato di Wecho, l’eco delle donne della montagna, la ricerca che la Fondazione Revelli ha voluto per dare voce alle donne che hanno scelto di abitare la montagna. Chiedere loro di cosa hanno bisogno, quali sono le loro visioni, cosa serve, quali servizi, per vivere bene in montagna. Ecco, è dalle loro storie, dalle loro richieste, che la montagna esce da ogni retorica, da ogni snobismo.

Anche per questo che le donne hanno un posto particolare in Migrazioni Verticali. Ma soprattutto perché per loro, come emerge dalla ricerca, la montagna è il “luogo delle possibilità”. Non è una cosa bellissima da raccontare?».

 

 

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