“Le vie del profumo”: la mostra a Cuneo è un viaggio nel mondo delle fragranze

“Il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell’apparenza, del sentimento e della volontà. Non si può rifiutare la forza di persuasione del profumo: essa penetra in noi come l’aria che respiriamo, penetra nei nostri polmoni, ci riempie, ci domina totalmente. E non c’è modo di opporvisi”. Le parole Patrick Süskind, autore del besteller Il profumo (dal quale è stato tratto nel 2006 l’omonimo film diretto da Tom Tykwer), sono il migliore in invito a una mostra speciale, aperta fino al 30 gennaio nelle sale del settecentesco Palazzo Samone di Cuneo: s’intitola “Le vie dei profumi” ed è stata allestita in collaborazione con l’associazione Pro Natura Cuneo, con il patrocinio del Comune e con la curatela di Silvana Cincotti, egittologa e storica dell’arte, impegnata da anni nello studio della storia dell’olfatto, che ha allestito un percorso da esplorare con gli occhi e soprattutto con il naso, alla ricerca delle ultime tracce di essenza rimaste su reperti anche antichi – fiale, pissidi, incensieri, alambicchi, vasi da farmacia, flaconi di bouquet d’autore – presentati nelle diverse “stanze” dell’esposizione insieme a oggetti unici, provenienti da importanti collezioni antiquarie del territorio piemontese, e opere di numerosi artisti, locali e non, che hanno reinterpretato l’universo del profumo.

Le vie dei profumi”, la mostra a Cuneo

“L’odore buono è stato considerato per secoli la manifestazione del divino, e la sua presenza sugli altari e nei templi permetteva agli uomini di entrare in contatto con gli dei”, spiega la curatrice. “L’olfatto si pone poi, per sua natura, come il più irresistibile dei sensi perché è intimamente connesso al respiro, e le sostanze profumate, siano esse fragranze di fiori, frutta, cortecce, piante, resine o spezie, emulano i piacevoli odori della natura ed evocano in questo il senso stesso della vita”.

La mostra cuneese, organizzata secondo un criterio cronologico e scandita da numerosi e dettagliati tabelloni informativi, prende le mosse dai profumi dell’Antico Egitto (dove spezie e resine venivano usate per l’imbalsamazione e per i riti funebri), passa attraverso le essenze delle civiltà del Mediterraneo, sfiora il Medioevo e il Rinascimento, sbarca nel Seicento (l’età più maleodorante della Storia) e arriva fino all’Ottocento e al Novecento, secoli in cui fecero il loro debutto le grandi Maison del profumo.

Il viaggio è impreziosito anche da alcune “ricostruzioni”: per esempio, è stato ricreato con suppellettili, materie prime e attrezzi originali l’atelier del profumiere e uno spazio specialissimo è stato riservato alla storia olfattiva della Sindone, che probabilmente è giunta fino a noi proprio grazie agli unguenti con cui venne trattato il corpo dell’uomo che ha lasciato la sua impronta impressa sul tessuto di lino.

“Le fragranze hanno contraddistinto la società umana, segnandone valori e costumi, legandosi non solo ai riti officiati in onore degli dei, ma svolgendo una parte importante nelle attività connesse al culto dei defunti e alle attività quotidiane”, spiega Cincotti, che ha voluto allestire anche il tipico ambiente domestico che ospitava un tempo la toeletta mattutina e serale delle signore.

“È un modo per ricordare che oggi il profumo ha purtroppo perduto in larga parte il suo contenuto di ritualità. Ormai colonie e eau de toilette si acquistano distrattamente online o nei centri commerciali, spesso seguendo i suggerimenti del marketing o degli influencer: si è persa, insomma, la gioia di esplorare le fragranze, di provarle, di capire come reagiscono sul corpo. E invece varrebbe la pena di tornare a dedicare tempo alla scelta del profumo, perché ogni essenza richiama alla mente concetti familiari, memorie, ricordi: è un microcosmo composto da diverse migliaia di molecole volatili destinate ad entrare in stretto contatto con noi, con la nostra pelle ma soprattutto con la nostra anima”.

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La storia del profumo in Piemonte

“Da centinaia di anni gli abitanti delle valli piemontesi si erano dotati di rudimentali distillatori con cui estraevano gli oli essenziali da tante varietà di fiori, ottenendo profumi delicati e avvincenti”, aggiunge Domenico Sanino, presidente di Pro Natura Cuneo, l’ente promotore della mostra che dal 1965 opera sia per proteggere la flora di montagna, sia per salvaguardare le tante piante autoctone usate per le loro proprietà medicamentose, ma anche per i legami profondi con il mondo sacro e con le tradizioni culturali. E dunque non a caso “questa mostra riserva un’attenzione specifica alle specie locali. Non bisogna infatti dimenticare che le popolazioni dell’arco alpino sapevano raccogliere con attenzione fiori, erbe, radici, frutti e bacche per farne infusi, liquori e distillati da usare anche per la cura del corpo: ne sono un esempio le erbe sacre o erbe di San Giovanni, legate da sempre alle tradizioni del solstizio d’estate, che meritano di essere rispettate, tramandate e riscoperte”.

La mostra è aperta al pubblico (ingresso libero con Green Pass) dal giovedì al sabato (15.30 -19.00) e la domenica (10.00 – 12.30; 15.30 – 19.00).
Il 12 gennaio alle 17.30 è possibile partecipare alla conferenza “Le Vie del Profumo”, che si terrà nella Sala Polivalente CDT, Largo Barale 6, Cuneo. Per informazioni: pronoaturacuneo.it.

I profumi nel mondo antico

Oltre che in Egitto, l’arte del profumo fu ampiamente coltivata anche in Grecia e a Roma, soprattutto in relazione alle cerimonie religiose e ai riti funebri: corolle di rose, gigli e viole venivano inserite nei sudari, perché considerati emblemi della vita eterna.

Già le civiltà cretesi e micenee (1500 a.C.) ritenevano che a fiori, spezie, radici, resine e altre materie prime usate per la produzione dei profumi fossero legate degli esseri divini, che si manifestavano attraverso il fumo e tramite la percezione olfattiva.

La fumigazione con l’incenso e la mirra – i cosiddetti aromata, che in epoca più tarda riempiranno turiboli e incensieri – era una pratica diffusissima nel templi per finalità di purificazione oltre che per creare un anello di congiunzione fra la Terra e il Cielo grazie al fumo che saliva verso l’alto insieme alle preghiere, ma le essenze profumate erano presenti anche nei luogo privati, per impreziosire l’acqua dei bagni e gli oli vegetali (come quello d’oliva) impiegati per la produzione degli unguenti.

Il medico romano Galeno scriverà un fondamentale trattato sulle proprietà terapeutiche delle piante e delle essenze, s’iniziano a ricavare da mirto, ginestra, pino e laudano i primi jus, gli estratti profumati con i quali sacerdoti e matrone si ungono talvolta fino all’eccesso.

Mostra Profumo Cuneo
Alcuni oggetti in mostra a Cuneo. Foto di Livio Secco

Il profumo alla corte di Costantinopoli

L’imperatrice Zoe Porfirogenita nacque a Costantinopoli nel 978 d.C., quando suo padre Costantino era ancora coreggente dell’impero insieme al fratello Basilio II. Alla morte di Basilio, nel 1025, Zoe aveva 47 anni e suo padre salì al trono come Costantino VIII: con la scomparsa del padre, la corona imperiale toccò a lei.

Il termine porfirogenita indica la discendenza da famiglia imperiale, in quanto nata nella sala rivestita di porfido, collocata all’interno del Palazzo costantinopolitano del Boukoleon, affacciato sul mare e dotato di un proprio porto.

Secondo le cronache dell’epoca, Zoe aveva riconvertito alcune sale del palazzo imperiale in laboratori per la produzione di profumi e unguenti, che l’avrebbero aiutata a conservare un volto bello e luminoso fin oltre i sessant’anni.

L’opera della ceramista aviglianese Giuliana Cusino, esposta alla mostra sui profumi di Cuneo, affianca all’immagine dell’imperatrice Zoe due pannelli di natura che ricalcano l’assenza di spazio tipica del mosaico bizantino, dove manca la prospettiva e i fiori possono crescere su un immaginario tappeto erboso vicino alle chiome degli alberi.

L’opera di Giuliana Cusino. Foto di Livio Secco

Le vie dei profumi”, la mostra a Cuneo: antichi vasi in ceramica decorata

Già a partire da Medioevo e poi in seguito, nel corso del Rinascimento e nei secoli successivi, le materie prime usate per la preparazione dei medicamenti e dei profumi venivano conservate in grandi contenitori di ceramica (come quello fotografato nell’immagine qui sotto), di cui resta ancora traccia nelle più antiche farmacie.

Nelle spezierie medievali, accanto ai vasi di ceramica, venivano solitamente adoperati anche recipienti di ferro, di stagno e di piombo. A partire dal XIII secolo i vasi in ceramica sostituiscono completamente i recipienti fabbricati con altro materiale, fatta eccezione per le scatole di legno destinate a contenere i medicamenti semplici.

Con il tempo, a seconda del tipo di preparazione da conservare, nacquero forme diverse, ad esempio per i medicamenti liquidi venivano usati vasi a forma globulare che spesso divennero vere e proprie opere d’arte dipinte. Alcune di queste appartengono alla Collezione Vivalda e sono state selezionate appositamente per la mostra “Le vie dei profumi” di Cuneo.

Uno dei grandi vasi in ceramica usati per conservare i profumi. Foto di Livio Secco

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I metodi di estrazione e gli strumenti del profumiere

Tanti e diversi, nel corso della storia, sono stati i metodi impiegati per estrarre le essenze profumate dalle materie prime d’origine vegetale e animale: i più comuni sono l’enfleurage, la spremitura e la distillazione a vapore.

Con la tecnica dell’enfleurage, utilizzata soprattutto per estrarre il profumo dai fiori, petali e corolle vengono depositati su del grasso purificato che ne assorbe il profumo. I fiori vengono sostituiti quando perdono colore e il processo può proseguire per varie settimane, finché il grasso non sarà saturo di essenza. A quel punto, sarà diluito in alcool per separare l’olio essenziale.

La spremitura a freddo è il metodo indicato per estrarre le fragranze dalle scorze degli agrumi, che vengono ammollate in acqua e poi pressate: alla fine dell’operazione, si raccoglie l’olio essenziale che resta a galleggiare sulla diluizione.

Risale al 1500 il Liber de arte distillandi de semplicibus, scritto da Hieronymus Brunschwig, autore tedesco che espone in modo molto dettagliato i differenti materiali e le tecniche di distillazione con corrente di vapore: acqua e fiori vengono posti in un’ampolla sopra il fuoco e portati a ebollizione; il vapore che si crea è saturo di molecole aromatiche e e, mentre attraversa un sottile tubicino in vetro, si raffredda e lascia cadere l’olio in un apposito contenitore.

Hieronymus Brunschwig elenca ben 305 distillati vegetali e animali, dei quali precisa le diverse proprietà terapeutiche, testimoniando un’evoluzione delle preparazioni profumate e spiegando l’uso dell’alambicco in vetro.

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Fragranze on the road

L’esigenza di profumare (e di deodorare) gli abiti, la persona e l’acqua del bagno non viene meno in viaggio. Oggi i beauty case sono considerati un accessorio principalmente femminile, ma pochi sanno che, almeno in Gran Bretagna, erano stati progettati per un uso esclusivamente maschile. Divennero di moda alla fine del XVIII secolo.

All’epoca erano conosciuti come dressing cases ed erano dei contenitori finemente lavorati e realizzati con materiali e finiture di lusso dotati di scomparti per accessori e prodotti di toeletta come acqua di colonia, crema da barba, pettini e strumenti per la manicure.

I francesi, tuttavia, avevano già in uso da qualche secolo il nécessaire de voyage che risale al XIV secolo. Queste custodie da viaggio vennero realizzate per le necessità della corte, divenendo gradualmente più stravaganti nel design a mano a mano che le esigenze di viaggio si evolvevano. Erano suddivisi in più scomparti e furono progettati per trasportare di tutto, inclusi cancelleria, attrezzature per cucire e persino portacandele.

I nécessaire presenti in mostra sono pezzi unici che provengono dalla collezione cuneese Oldofredi Tadini.

Il rituale della toeletta

Fino al secondo Dopoguerra, quando il rituale del trucco non si era ancora trasferito in bagno, ogni signora disponeva nella propria camera da letto di un apposito mobile da toeletta.

Davanti all specchio, sedute sopra una poltroncina o uno sgabello basso, la mattina e di nuovo la sera adolescenti, ragazze e donne mature si dedicavano alla cura della propria bellezza. Tutte disponevano di pettini, spazzole e di una selezione più o meno ricca di profumi, che applicavano sulla pelle nei punti più adatti per prolungarne la durata e amplificarne l’intensità. Quelle zone magiche del corpo, dove il sangue pulsa con maggior vigore, sono il collo, la nuca, i polsi, le orecchie (dietro i lobi), l’ombelico, la cavità dietro le ginocchia e il petto, fra i seni.

Anche i guanti un tempo dovevano essere profumati con la medesima fragranza utilizzata per la persona: l’uso dei guanti profumati e addirittura conciati con gli oli essenziali (e, talvolta, anche con veleni!) pare che sia stato introdotto in Francia da Caterina de’ Medici.

All’inizio nel Seicento in Europa cominciò a diffondersi una nuova figura professionale, quella del maestro guantaio e profumiere, attività che divenne particolarmente fiorente nell’area di Grasse, dove abbondavano le coltivazioni di gelsomino, rosa centifolia e tuberosa e che è tuttora una delle capitali mondiali del profumo.

Una toeletta d’epoca. Foto di Livio Secco

Gli unguenti della Sacra Sindone

La mostra di Cuneo ospita una sezione unica del suo genere, dedicata alle sostanze aromatiche rinvenute sulla Sindone e alle immagini originali del sacro sudario, che oggi fanno parte della Collezione Sanino.

Fu Gerolamo Oldofredi Tadini, patrizio bresciano con casa e terreni a Cuneo, gentiluomo di corte della Regina Margherita e diplomatico per conto del Re Umberto I, che dal 25 maggio al 2 giugno del 1898 presiedette, su incarico del Sovrano, alla Ostensione della Sacra Sindone che si tenne nel Duomo di Torino.

Al termine dell’Ostensione, prima che Sindone fosse riposta nella sua teca, Oldofredi poté prendere le misure dell’Uomo che aveva lasciato la sua effige sul lino e, anche forte dello studio delle teorie “vaporografiche” del francese Paul Vignon, si convinse che l’immagine potesse essere il risultato di particolari reazioni chimiche prodotte sul tessuto dagli aromi usati, secondo le usanze ebraiche, per cospargere il corpo dei defunti.

Tra questi profumi ci sarebbero stati l’aloe (Aloe vera), la mirra (Commiphora molmol) e, probabilmente, l’olio di nardo (Nardostachys Jatamansi), molto usato in Egitto nei rituali legati alla sepoltura e noto in India per la sua azione pacificante e riequilibrante.

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Guerlain, una famiglia di “nasi”

Il fondatore della celebre maison di fragranze parigine fu Pierre François Pascal Guerlain (1798-1864) che decise, nel 1817, di lasciare la famiglia d’origine per seguire il suo sogno: creare profumi. Fra i suoi evergreen, spesso confezionati in flaconi di cristallo di Baccarat, si ricordano per esempio l’Eau de Cologne Imperiale, dedicata all’Imperatrice Eugenia, consorte di Napoleone III.

Alla morte di Pierre, l’azienda passò ai figli Gabriel e Aimé, e quest’ultimo si dedico alla creazione dei profumi. Aimé, che non ebbe figli, prenderà con sé come apprendista il nipote Jacques Guerlain, che diventerà ben presto uno straordinario “naso” e creatore di fragranze d’autore: il suo primo capolavoro – L’heure bleue – fu messo a punto nel 1912 e distilla la passione di Jacques per l’impressionismo.

Arruolato durante la Grande Guerra, Jacques Guerlain perse l’uso di un occhio in battaglia, ma l’incidente non gli impedì di creare nel 1919 l’indimenticabile Mitsouko seguito, nel 1921, dal tuttora iconico Shalimar (dal nome dei giardini costruiti nel 1641 per volere del Gran Mogol Shah Jahan a Lahore, in Pakistan, in omaggio alla principessa Mumtāz Maḥa, per la quale fu costruito il Taj Mahal) che nella formula a base di bergamotto, rosa, iris, vaniglia e fava tonka, definisce per la prima volta la matrice della famiglia orientale.

Dopo la perdita (nel corso della seconda Guerra Mondiale) del figlio Pierre e la distruzione degli stabilimenti di Bécon Led Bruyères, Jacques Guerlain smise di creare profumi. Oggi la maison, una delle più rinomate al mondo, prosegue alla guida del maître parfumeur Thierry Wasser: erede di un patrimonio olfattivo di oltre 1100 fragranze e intrepido leader di progetti futuri.

Coty, il maestro dei maestri

Joseph Marie François Spoturno è il vero nome di François Coty, nato nel 1874 ad Ajaccio da una famiglia di origini liguri.

Coty divenne celebre a livello internazionale grazie ad alcuni jus storici ma anche perché fu il primo a vendere i suoi prodotti in appositi “corner” creati nei primi grandi magazzini di Parigi. Si spiega così la ragione per cui Silvana Cincotti, curatrice dell’esposizione di Palazzo Samone, gli ha voluto dedicare uno spazio speciale accanto ai tableau riservati ai maestri dell’alta profumeria creativa.

Ancora sconosciuto, Coty tentò di commercializzare La Rose Jacqueminot (formula per la quale utilizza prodotti sintetici studiati a Grasse, denominati rhodinal e ionone) presso i grandi magazzini, senza tuttavia incontrare il favore dei direttori commerciali.

Si narra che, deluso da questa diffidenza, un giorno ai Grandi Magazzini del Louvre, Coty avrebbe lanciato con rabbia a terra uno dei flaconi di La Rose Jacqueminot che, rompendosi, permise al profumo di diffondersi nell’aria, col risultato che molte signore si chiesero da dove mai provenisse quella fragranza così speciale. Fu l’inizio (casuale) di un grande successo e una piccola grande rivoluzione nel mondo del profumo.

A Coty si deve anche la codificazione della famiglia olfattiva “cipriata”, che prende nome dal suo celeberrimo profumo Cypre: le note cipriate si ispirano al mix di polveri d’amido, muschio di quercia, zibetto, ambra grigia, rizoma di cipero dolce (dal sentore di violetta), rizoma di iris e talvolta labdano, usate già nel XVI secolo per creare polveri per capelli, per profumarli, disinfettarli e renderli più corposi, e definite appunto polveri di Cipro.

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Dior, l’impalpabile fascino del New Look

Per la creazione del suo primo, straordinario profumo – Miss Dior – Christian Dior si era ispirato ai giardini della casa di Granville, in Normandia, dov’era nato e cresciuto, figlio di una famiglia benestante che produceva sostanze chimiche e fertilizzanti.

L’idea del quell’eau, maturata quasi per “rivestire” di buono le donne che rialzavano la testa dopo gli anni bui della guerra, va di pari passo con la nascita del suo New Look: uno stile ispirato alla leggerezza e alla femminilità, che verrà lanciato ufficialmente il 12 febbraio 1947 nella sede della Maison, in Avenue Montaigne a Parigi. Inondata per l’occasione da litri di Miss Dior.

Quel profumo sofisticato e senza tempo, ancora oggi in produzione e racchiuso in un flacone dalla silhouette quasi sartoriale, arpeggiava su sfumature di cuoio e galbano, create per Dior dai nasi Paul Vacher e Jean Carles, alternate a note di mandarino, gardenia e bergamotto (testa), gelsomino, narciso, neroli e rosa (cuore), e patchouli, quercia e legno di sandalo (fondo).

Nel corso del tempo, la Maison Dior porterà alla ribalta altri successi: come Diorissimo (1953), creato dal naso Edmond Roudnitska su una base di mughetto, e Poison (1985), il cui concept prende spunto da una frase dello scrittore Paul Valéry: “Il profumo è il veleno del cuore”.

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Chanel, la signora delle aldeidi

Per secoli il profumo è stato legato alle sostanze naturali dalle quali veniva di volta in volta estratto, ma è con Coty e soprattutto con Chanel che inizia a farsi più astratto ed evocativo. E, grazie alle innovazioni della ricerca chimica del Novecento, comincia ad abbracciare le infinite possibilità creative degli ingredienti di sintesi.

Il profumiere Ernest Beaux, quando incontrò Gabrielle Chanel detta Coco aveva già firmato diversi profumi di successo, fra cui la colonia Bouquet de Napoléon nel 1912 e il Bouquet de Catherine, dedicata al 300° anniversario della dinastia dei Romanov.

Uomo curioso, carismatico, elegante e soprattutto audace, Beaux fu uno dei primi a sfruttare le nuove molecole provenienti dalla sintesi chimica: le aldeidi. Per Chanel creò un bouquet modernissimo per i tempi (siamo all’inizio degli anni Venti) mescolando ylang ylang, Rosa centifolia, neroli, gelsomino, oltre ai derivati artificiali che conferirono al profumo le inconfondibili sfaccettature metalliche, che ricordando l’odore del freddo, del vento del Nord e del bucato messo ad asciugare al sole.

Perché questo profumo diventò Chanel N°5? Coco, che era una fuoriclasse del marketing, posta di fronte a dieci varianti del profumo, numerate da Beaux da 1 a 5 e da 20 a 24, scelse la quinta fialetta. Il motivo? “Presento sempre le mie collezioni il quinto mese di maggio, il quinto mese dell’anno”, disse la couturière, “e quindi lasceremo che questo numero cinque mantenga il nome che ha già. Porterà fortuna”.

Nella boutique di Rue Cambon, Coco esigeva che il N°5 fosse spruzzato ogni giorno nei camerini, affinché le clienti ne memorizzassero la fragranza e lo collegassero allo stile della Maison.

“Le vie del profumo”, mostra aperta a Cuneo. Foto di Livio Secco

Oro, incenso e mirra

In una rassegna sui profumi, a maggior ragione se inaugurata il 6 gennaio, non poteva mancare un omaggio olfattivo ai doni di Melchiorre, Gaspare e Baldassarre, i Re Magi che fanno visita a Gesù Bambino nei giorni successivi alla nascita dopo aver attraversato il deserto in groppa ai cammelli, guidati dalla scia della Stella Cometa.

Melchiorre depone accanto all’umile greppia l’oro, che di fatto non ha nulla a che fare con il mondo delle fragranze ma era usato a scopo rituale già dagli Egizi, che lo aggiungevano in polvere a bevande e cibi per suscitare il favore degli dei: il luminoso metallo giallo è comunque l’omaggio riservato ai sovrani, considerando che il Bambinello fin dalla nascita viene chiamato con l’epiteto di “Re dei Re”.

L’incenso, portato da Gaspare e bruciato durante tutte le cerimonie religiose, rappresenta invece il riconoscimento da parte dei Magi della natura divina di Gesù, mentre la mirra, che è un dono di Baldassarre, il magio dalla pelle scura, simboleggia l’umanità e la mortalità del Cristo: non a caso la resina ricavata dal tronco della Commiphora myrrha faceva parte dei cerimoniali legati al culto dei morti e nell’antico Egitto veniva impiegata per le pratiche di imbalsamazione, così da favorire la conservazione del defunto anche per la vita nell’aldilà.

Secondo altre tradizioni, l’oro sarebbe invece un emblema della fede, l’incenso della santità e la mirra della passione del Cristo, oppure i tre doni coinciderebbero con le tre virtù teologali: l’oro è la fede intesa come tesoro prezioso, l’incenso è la speranza perché i suoi fumi aromatici mettono in collegamento la dimensione umana con la sfera divina, e la mirra è la carità, perché la resina si usava per preservare il corpo mortale dopo il trapasso.

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Il viaggio continua su carta: il catalogo

Alla mostra “Le vie del profumo” si accompagna l’omonimo catalogo (in tutto 112 pagine, nella foto l’immagine della copertina) pubblicato da Kemet Edizioni con la curatela di Silvana Cincotti e testi di Donatella Avanzo, Olimpia Biasi e Domenico Sanino (autore delle schede botaniche dedicate alle “piante da profumo”), in collaborazione con Pro Natura Cuneo.

Il volume è un’affascinante guida storica e culturale per esplorare l’universo multiforme delle fragranze e avvicinarne i principali protagonisti, e si può acquistare dopo la visita a Palazzo Samone o direttamente su kemet-edizioni.com.

Dove Viaggi ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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