Nei tuoi reportage, in radio ma anche per la carta stampata, è sempre molto presente il lato “umano”: dai molta importanza e voce alle persone che incontri e con cui condividi il viaggio. Una modalità di raccontare molto vicina al “viaggiare responsabile”, con occhi e orecchie sempre ben attenti all’altro.
Prima di andare in un luogo ne devi studiare la storia, la natura, la geografia, ma solo quando arriverai, parlerai e conoscerai anche le persone che vivono quel luogo potrai capire come esse stesse hanno contribuito alla sua conformazione, come ne sono stati condizionati e come lo hanno trasformato.
Ogni viaggio è sicuramente unico e dipende dall’approccio di chi lo intraprenderà. Pensi che un reportage possa avere la capacità di influire sul modo di affrontare il viaggio da parte di chi legge/ascolta?
Non solo e non tanto perché puoi consigliare la fattoria dove andare a mangiare o il punto dove andare a scattare una foto bellissima… un reportage può influire essenzialmente se hai fatto nascere delle curiosità, degli stimoli che pongano il viaggiatore in una posizione per cui possa essere lui stesso poi a scoprire qualcosa di nuovo, di cui tu autore del reportage magari non ti eri accorto… però gli ha dato quell’input che poi gli ha fatto fare quella scoperta autonomamente.
Quanto è importante la preparazione prima del viaggio? E quanto ti lasci guidare dagli incontri fortuiti?
Prepararsi prima di un viaggio è cosa buona e giusta, ma questo non significa che devi avere fatto una schedula in base alla quale ti muovi del tipo: alle 7 sveglia, alle 8 colazione, poi alle 9:30 vado in questo posto e poi in quest’altro. È fondamentale lasciarsi guidare anche un po’ dall’istinto, dalla cosa che trovi all’ultimo minuto. L’importante è sapere sempre dove ti muovi e cosa stai facendo ma quello della scoperta e del fiuto è un aspetto fondamentale.
A (quasi) tutti piace viaggiare e soprattutto raccontare il proprio viaggio. Ma quando si parla di veri reportage di viaggio, quanto conta avere un proprio stile personale?
Avere un proprio stile personale è un fattore fondamentale: non interessa tanto la cronaca dettagliata che spesso rischia di diventare prolissa, quanto la capacità di coniugare determinate cose che vedi o storie che senti e che origli con i parametri che utilizzi. Uno degli elementi che mi capita di utilizzare è la musica di un determinato posto per raccontare tutto quello che c’è dietro. O il calcio: certe storie di certe città passano necessariamente attraverso gli stadi di quelle città. Mi vengono in mente per esempio alcuni luoghi del Brasile o quello che sta succedendo in questi giorni negli Stati Uniti con i campionati di basket che vengono interrotti: non puoi fare a meno di ricordare quelli che sono i problemi di alcune città, che possono essere raccontate quindi in un modo anche diverso da come te l’aspetti. Una cosa si porta dietro l’altra e il racconto diventa così più vivace.
“Ogni viaggio lo vivi tre volte: quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi”. Aggiungerei una quarta volta: “e quando lo racconti”. Come ci si destreggia tra tutto il materiale raccolto?
È fondamentale, prima di cominciare a scrivere il reportage, avere chiaro qual è l’aspetto principale che si vuole mettere a fuoco nel viaggio, ciò che è un contorno e che serve a fare punteggiatura, diversamente da quello che invece è l’essenza del viaggio. Quando hai messo a fuoco questo punto puoi cominciare a scriverlo perché sennò rischi di mischiare tutti gli elementi e non avere un aspetto prioritario, che invece deve essere quello che salta fuori e che resta nella testa di chi ha letto il tuo reportage alla fine, dopo che lo ha letto e digerito.
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