Pochi quadri sanno da soli farsi simbolo di un’intera epoca, e la Primavera di Botticelli è tra questi. Eppure, di questo dipinto celeberrimo conservato agli Uffizi di Firenze sappiamo pochissimo: non la data esatta di esecuzione, né abbiamo la certezza assoluta su chi sia il committente, o a chi fosse destinata. Men che meno conosciamo l’esatto significato del dipinto: lo si può indovinare, cercare di leggere nella perfezione del disegno o dei rimandi letterali e filosofici, e forse avvicinarsi alla verità con una buona approssimazione, ma in realtà il messaggio più profondo ci sfuggirà forse per sempre, ed è probabilmente anche per questo che il dipinto conserva quel fascino così misterioso che strega chiunque passi davanti a questa grande tavola in legno di pioppo.
Di una cosa siamo almeno certi: la Primavera (a proposito, forse non è nemmeno questo il titolo originario dell’opera, posto che un titolo ce l’abbia avuto) rappresenta al meglio l’età dell’oro della Firenze di fine Quattrocento, quella di Lorenzo il Magnifico e di filosofi del calibro di Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, di giovani artisti che si facevano notare per la loro bravura (Leonardo da Vinci frequenta, come pure Botticelli, la bottega di Andrea Verrocchio, uno dei maggiori maestri del tempo; lo stesso Michelangelo studiò da vicino la collezione di sculture antiche che Lorenzo il Magnifico custodiva nel giardino di san Marco, che diventa ben presto una vera accademia artistica) e di poeti, come Agnolo Poliziano, che con i loro versi hanno contribuito a rendere immortali questi anni.
Malinconica e allo stesso tempo gioiosa, la scena rappresentata da Botticelli mette insieme i tanti stimoli della corte medicea, unendo Virgilio e Platone, la mitologia classica ed il mondo contemporaneo, dando un messaggio che a più riprese è stato interpretato come il percorso che l’uomo fa per elevarsi dalle semplici pulsioni fisiche alla vita contemplativa.
Leggendo in effetti il dipinto da destra a sinistra tutto torna: Zefiro è invaghito della bella ninfa Clori che diventa – proprio grazie a questa unione – Flora, intenta a spargere petali e fiori, elegantissima nel suo abito. Al centro del dipinto Venere, attorno alla quale tutto pare ruotare, e il piccolo Cupido, che scaglia una delle frecce contro le tre Grazie. All’estremità sinistra del dipinto se ne sta Mercurio, che pare non curarsi di quello che avviene alle sue spalle, ma guarda in alto e – così come si toglierebbero le ragnatele dall’angolo di una parete brandendo uno scopettone – dissipa col caduceo le nubi che potrebbero addensarsi su quel giardino di delizie, dove splende invece un’eterna primavera.
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via I grandi luoghi dell’arte italiana: la Primavera di Botticelli
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