Brasile segreto: sulla rotta delle emozioni alla scoperta del Nordeste

Alessandro Capoccia

Niente samba, nessuna garota de Ipanema (La ragazza di Ipanema, celeberrima canzone) e neppure set apparecchiati per il prossimo cinepanettone. Ma che Brasile è? È il Nordeste: quello raccontato, negli anni Settanta, con toni drammatici ed epici insieme, da Glauber Rocha e dagli altri registi del Cinema Novo, e che adesso è tutta un’altra cosa. La regione che comprende ben tre stati della confederazione brasiliana (il Cearà, il Piauí e il Maranhão) torna a puntare tutto (o quasi) sul turismo. Non di massa, come anni fa, ma ecosensibile ed esperienziale, curioso di scoprire scenari inediti e paesaggi da brivido. Da emozione continua. “Si chiama proprio così, Rota das Emoções (rotta delle emozioni), il progetto del ministero del turismo nato una decina d’anni fa per far conoscere regioni che hanno poco a che vedere con lo stereotipo del Paese tutto samba e bossa nova”, conferma Gabriele Coletti, braccio operativo in Brasile di iPlanet, agenzia italiana che offre tour chiavi in mano a chi si avventura da queste parti. “Qui è tutto diverso: chilometri e chilometri di spazi infiniti e silenziosi, colori accecanti, piccoli villaggi dove si vive con poco, di pesca e di agricoltura, con dignità”.

Emozioni di sabbia tra le dune e nelle spiagge

Dopo essere partiti da Fortaleza, capitale del Ceará, il primo assaggio di quello che promette la rotta delle emozioni è a Morro Branco, paesino minuscolo sulla Rota das falesias: incominciano le dune che continueranno a rincorrersi per centinaia di chilometri lungo l’Atlantico e che qui sono interrotte da falesie bianche e rosse a picco sull’oceano, tutte da scoprire correndo su una dune buggy. Lasciato il villaggio, dopo cinque o sei ore di viaggio (le strade rovinate dalle piogge consentono solo velocità da crociera lenta), attraverso foreste di mangrovie, piantagioni di palme e microvillaggi dalle strade rosse, si arriva a Jericoacoara, paese dal nome complicato (qui viene semplificato in Jerì), protetto da una vera e propria cordigliera di sabbia, che ha reso difficile per molto tempo l’accesso degli esploratori alle sue spiagge bianchissime. Ancora oggi l’ultimo tratto di strada si può percorrere solo a bordo di 4×4 che fanno lo slalom fra dossi, cunette, buche, inventando ogni volta nuovi sentieri. Ma il fascino di questo sito, Parco nazionale dal 2002, ripaga di ogni fatica. Il vecchio villaggio di pescatori ha mantenuto (quasi) intatta la sua atmosfera, con le strade di sabbia, come lo sono anche i pavimenti dei negozi, dei bar, dei ristoranti. Di sabbia soffice e candida sono, ovviamente, le spiagge (il Washington Post le ha incluse nella top ten delle più belle del mondo) e le dune che nascondono nei loro avvallamenti laghi e invasi di acqua dolce da scoprire con lunghe corse in quad. E di sabbia, infine, sono i sentieri che portano a Pedra Furada, un enorme scoglio scavato dalle maree e diventato il logo di Jerì. Il momento clou della giornata è il calare del sole, rito a cui pochi si sottraggono, quando ci si arrampica sui 90 metri della Duna do Pôr do Sol (duna del tramonto), per ammirare, in silenzio, lo spettacolo del sole che si tuffa nell’Atlantico.

Emozioni sul delta das Americas

Dopo aver percorso altre strade da rally estremo, attraversato paesini coloratissimi con case dalle facciate viola, indaco, rosso carminio, arancione squillante, avvistato fazende isolate nella pianura, atteso il passaggio di mucche, capre, asini, che si spingono imprudenti sulla carreggiata, ecco Parnaíba, a capital do Delta, come avvisano i cartelli stradali. Il delta è quello das Americas, vale a dire il tratto finale del fiume Parnaíba: decine di bracci e canali, centinaia di isolette, boschi di mangrovie che con la bassa marea mostrano le radici scoperte, migliaia di palme, iguane ferme sui rami, qualche alligatore: un labirinto di acquitrini e canali da percorrere, per vivere il delta com emoções, su un piccolo gozzo.
L’avventura sul delta non è finita: la destinazione è il tratto del fiume antistante l’Isla do Cajù, pochi metri quadrati di terra ricoperti da una boscaglia fitta. Gli alberi sono punteggiati di rosso fluo: frutti? fiori? No, guarà, cioè ibis rossi che si appostano ogni sera sui rami delle mangrovie per assistere, anche loro, al tramonto, imitati dai caracara dal becco arancione, dai cormorani e da migliaia di altri uccelli bianchi. Il sole cala dietro la boscaglia ed è subito buio fitto, rotto solo da migliaia di stelle.
Il ritorno alla civiltà è traumatico. Parnaíba è la seconda città dello stato del Piauí: traffico, rumore, caos. Il meglio, però, deve ancora venire: una delle più grandi attrazioni dello stato del Maranhào, anello d’unione tra il mondo del Nordeste e l’Amazzonia, è il Parque nacional dos Lençóis Maranhenses, racchiuso tra il verde selvaggio della foresta di mangrovie e il blu intenso dell’Atlantico: un deserto, grande come metà della Valle d’Aosta, con il pregio di essere l’unico al mondo a nascondere, tra distese di sabbia e dune bianchissime, migliaia di bacini, laghetti e specchi d’acqua verde, turchese, blu cobalto. Qui li chiamano lagoas (stagni); in realtà sono depositi di acqua piovana tra gli avvallamenti delle dune, destinati a scomparire per evaporazione, ma pronti a ritornare sulla scena quando ricomincia la stagione delle piogge.

Emozioni al tramonto tra i Lençóise

Il Parco è diviso in due, i Pequenos Lençóis e i Grandes Lençóis, dal Rio Preguiças, dal corso lento e pigro (è il fiume dei bradipi, in portoghese), e non ha vie d’accesso convenzionali: ci si arriva di solito partendo dai paesini di Barreirinhas o da Paulino Neves, e si visita solo e rigorosamente con 4×4, jeep, quad. È soltanto con questi mezzi di locomozione che si vive una delle tante emozioni dei Lençóis perché con i fuoristrada si fa di tutto: si corre su piste sterrate, si guadano stagni e pozze d’acqua, si sfreccia in riva all’Oceano. I 20 chilometri di litorale dei Pequenos Lençóis sono praticamente disabitati: di rado sbucano, dalla sommità di una duna, una barraca da praia, un chiringuito, una capanna destinati a offrire ombra e qualche comfort – acqua, birra, l’immancabile caipirinha – a chi vi si ferma. Segno inequivocabile della presenza umana è, però, un gigantesco parco eolico: decine di torri che muovono le loro pale assecondando gli alisei che arrivano dall’oceano.
Un po’ diverso il discorso per i Grandes Lençóis: qui ci sono alcuni piccoli insediamenti (chiamarli paesi è eccessivo): Vassouras, un tempo base dei pescatori del fiume; Mandacarù, con il suo faro a fasce bianche e nere che regala, dall’alto, una visione a 360 gradi sul parco e sul fiume; Atins, villaggetto new age con case in stile indigeno (foglie di palma, paglia, legno) abitate soprattutto da stranieri.  La Lagoa Bonita e la Lagoa Azul sono le mete più gettonate da chi si avventura tra i Lençóis: in effetti il tramonto tra le dune e gli specchi d’acqua è certamente di grande suggestione.
C’è anche un altro modo, decisamente più spartano, per avventurarsi nei Lençóis: attraversarli a piedi. Un trekking classico dura quattro giorni e prevede una sessantina di chilometri (esistono anche camminate di uno o due giorni). Qualsiasi soluzione si scelga, però, ci si ferma nei piccoli villaggi nascosti nella foresta, si mangia con i nativi, si dorme sulle amache, in completo digital detox. Prima di lasciarsi alle spalle questa meraviglia geologica creata, nei secoli, dall’azione dei venti e delle piogge, vale la pena di regalarsi un volo sui Lençóis: dal minuscolo aeroporto di Barreirinhas partono Piper e Cessna che sorvolano questo straordinario deserto bianco e la sequenza quasi infinita di dune e di laghi cristallini, fanno intravvedere le coloratissime jangadas che ritornano dalle battute di pesca, mostrano i villaggi nascosti nella boscaglia. Sembra un miraggio. Invece è tutto vero. E bellissimo.

 

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