Susanna e il viaggio in Togo che le ha cambiato la vita per sempre

Il Togo è un piccolo fazzoletto di terra dell’Africa Occidentale tra il Ghana e il Benin affacciato sul Golfo di Guinea. Spiagge orlate di palme, case costruite con solida argilla, villaggi remoti, il Grand Marche Bazar e anche il Fetish Market della capitale Lomé, dove sono esposti i feticci e i talismani della tradizionale religione Voodoo.

Una terra magica nel cuore dell’Africa nera. Qui Susanna Salerno, originaria di Bra, ha deciso di trasferirsi e mollare tutto. Galeotto fu un viaggio di volontariato in una scuola materna nel 2012. Susanna allora giovanissima (22 anni) aveva lavorato duramente in Francia nei campi raccogliendo frutta, facendo la vendemmia e vivendo in un furgone per qualche mese, per poter risparmiare i soldi necessari a sostenere le spese di viaggio e rientrare in Togo. Quello che Susanna aveva provato durante quest’esperienza nel territorio africano è stato un amore incondizionato e totale. Mai provato prima. E l’unico modo per viverlo era accettare una sfida: fare qualcosa di concreto per quei bambini. A soli nove mesi dal suo rientro in Italia, Susanna decide di ripartire per l’Africa e nel 2013 comincia la progettazione della Maison Sans Frontières, una casa d’accoglienza per bambini orfani e disagiati.

Perché hai deciso di mollare tutto e dedicare la tua vita all’Africa?
«Appena sono arrivata in Togo mi ha colpito la semplicità della gente, nel modo di parlare, di comportarsi e nel vivere. Una semplicità ormai quasi inesistente in Occidente, che mi è subito calzata a pennello. Ricordo di aver pensato “in questo posto si può sopravvivere solo se si è se stessi” e farlo, ritrovare me stessa, mi è piaciuto in modo definitivo.  In Europa, spesso, è difficile rimanere se stessi. Per questo ho deciso di restare, non riuscivo a pensare di ritornare in Europa. “L’Africa merita di più” è quello che ho detto a me stessa e agli altri, “L’Africa merita di più”»

Quali sono state le difficoltà sia burocratiche che culturali?
«Inizialmente mi aspettavo più collaborazione da parte di tutte le persone locali, ma purtroppo il materialismo sta contaminando ogni angolo del mondo. La malattia del dare più valore ai soldi che alla vita è più contagiosa di quel che mi aspettavo. Culturalmente la differenza è grande e per molto tempo, nel villaggio in cui ho costruito la casa d’accoglienza, la gente mi ha vista solo come una qualsiasi bianca ricca che arriva, costruisce e se ne va. Invece, con grande sorpresa di tutti, sono ancora qui. Dopo ormai 5 anni. La burocrazia africana? È una barzelletta. Mi ci sono voluti 3 anni di combattimenti, attese e incomprensioni per un semplice documento di riconoscimento… E quando finalmente è stato pronto nel nome dell’associazione c’era un errore ortografico. Tutt’ora, dopo 5 anni, i terreni acquistati non sono stati ancora registrati correttamente».

Che cos’è la Maison Sans Frontières oggi ?
«È la casa d’accoglienza per bambini orfani e disagiati che ho fatto costruire in due cantieri tra il 2013 ed il 2015 e il nome della Onlus. Attualmente la casa accoglie 13 bambini, 6 maschietti e 7 femminucce. I bimbi che vivono all’interno della struttura sono nutriti, curati in caso di malattia (molto spesso i bambini si ammalano di malaria, ed è una delle principali cause di morte infantili in Africa) scolarizzati e modestamente assistiti nei loro bisogni. Il tutto rispettando la loro cultura e le loro tradizioni. Viviamo insieme, sono la loro tata, mi svegliano la notte se hanno incubi, se stanno male. La mattina, prima di andare a scuola, lascio loro 100 franchi a testa per la colazione (circa 15 centesimi). Giochiamo, puliamo casa, lavoriamo nell’orto, cuciniamo quando la cuoca non c’è. Ridiamo e litighiamo, insomma, siamo una famiglia. Ormai loro non mi chiamano più iovó, che vuol dire bianca, e non mi considerano più tale. Non so come mi vedono, se come una mamma, una sorella, una zia. So solo che ci vogliamo bene ed occuparmi di loro è il compito più bello che io mi sia mai data nella vita. Nel corso del tempo l’assistenza della Maison si è allargata anche fuori le porte della struttura. Durante il periodo natalizio arrivano più donazioni e allora cerco di aiutare gli anziani malati, i bambini che non che non frequentano la scuola, oppure le giovani madri abbandonate dal compagno, donne che non possono permettersi di partorire in ospedale. Per quanto riguarda la casa il mio obiettivo è quello di educare e crescere questi bambini con amore e rispetto. Due doni a cui, purtroppo, la maggior parte dei bambini di qua non ha diritto. All’età di 5 anni, i bambini devono mettere da parte le coccole e gli abbracci per lasciare il posto al lavoro. Sono certa che un bambino cresciuto nell’amore, avrà una visione molto più ampia, rispetterà molto di più le altre persone, metterà al primo posto la felicità nella propria vita e sarà sicuramente più altruista. Il futuro della Maison è nelle mani di questi bambini, l ‘avvenire dell’Africa è nelle mani di ogni bambino sorridente di questo continente deturpato dall Occidente».

Quali sono i prossimi passi?
«Potrei farvi una lista lunghissima, la mia mente non smette mai di ideare, di sognare, di progettare. Per persone come me, questo posto è pieno di risorse. Si possono creare moltissime cose per il bene comunitario. Mi piacerebbe aiutare la gente del villaggio ad avere degli orti, oltre alle loro coltivazioni di cereali».

Se una persona desidera venire in Togo per fare volontariato che cosa dovrebbe sapere prima di partire?
«Dovrebbe sapere che l’adattamento è la più grande forza dell’essere umano. Che aiutare l’Africa ad evolvere in modo positivo, vuol dire aiutare se stessi ad essere persone migliori. Dovrebbe sapere che essere volontario, facendo qualcosa di veramente utile per gli altri, lascia una traccia indelebile, sia nelle persone aiutate, sia nel volontario stesso. Soprattutto deve essere un esempio importante e positivo per i bambini di oggi, il futuro di domani».

Susanna quanto è importante il cambiamento?
«È talmente importante da essere necessario! Lo vediamo quotidianamente, soprattutto in Occidente, dove si ha tutto e si sente sempre la mancanza di qualcosa. Spesso la sopravvivenza dell’uomo dipende da un cambiamento: se non fosse partito sarebbe rimasto ucciso sotto i bombardamenti; se lei non avesse divorziato lui avrebbe continuato a picchiarla; se non avesse cambiato lavoro il suo titolare non gli avrebbe mai pagato gli arretrati… So che rischiare spesso è difficile, ma per citare Alda Merini “solo chi osa rischiare è veramente libero”.»

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