Nel cuore della Valle dell’Ascencio, a metà del sentiero che conduce alla base delle Torres del Paine, Felipe Sunkel, 31 anni, trekker, alpinista e guida alpinistica, si ferma all’improvviso, alza la mano e punta l’indice: “Vedete quella radura? Lì, d’estate, ci saranno cento persone che fanno il picnic. E qui, su questo stesso percorso, si è costretti marciare in fila indiana come formiche. O come in coda al supermercato. Incredibile, no?” Oggi nella radura ci sono solo tronchi ricoperti da uno strato di 30 centimetri di neve appena caduta. E lungo l’intero tragitto che si sviluppa per circa 20 chilometri e richiede, in queste condizioni, oltre nove ore di cammino, non s’incontra più di una dozzina di trekker nell’arco dell’intera giornata. Sparpagliati e ben distanziati. Per vivere certi momenti bisogna scegliere la stagione giusta. E in Patagonia la stagione giusta, fatta di silenzi e solitudine, è l’inverno.
Patagonia: a piedi, tra cime spettacolari
Il viaggio a piedi in quell’estremo non solo geografico ma anche mentale che è la coda frastagliata del Sudamerica richiede, in chi lo intraprende nei mesi freddi, preparazione fisica, umiltà e la consapevolezza che ci si lancia in una piccola, grande avventura di esplorazione. Questa remota regione australe è regolata dalle leggi imponderabili del caso, della fortuna e dell’imprevedibilità. Qui, tutto può succedere, e cambiare, nell’arco di poche ore, o di minuti. Occorre predisporsi ad affrontare sentieri e dislivelli sotto l’ipoteca della costante mutevolezza del meteo; prepararsi magari a una magnifica giornata di sole e poi trovarsi a combattere con il vento gelido che sferza il viso o la neve pesante che rallenta ogni passo; rassegnarsi alla possibilità che la nebbia o una spessa coltre di nubi ostruiscano il panorama e nascondano le cime più spettacolari; ribaltare al mattino i programmi meticolosamente studiati la sera precedente. Ma in fondo, misurarsi con l’incertezza e con un certo grado di rischio è proprio quello che cerca chi decide di abbandonare la comoda estate boreale e partire per l’inverno del sud del Cile. Le emozioni con cui si viene ripagati valgono ogni minuto di attesa, ogni brivido di freddo. E la fatica di ogni passo percorso.
Incontri ravvicinati nel parco di Torres del Paine
Visitare il Parco Nazionale Torres del Paine, Patagonia cilena, “fuori stagione” offre, in compenso, la possibilità di fare incontri straordinari. Come quello con lo huemul (Hippocamelus bisulcus), il rarissimo e timido cervide in via di estinzione che compare sullo stemma del Cile ed è “monumento nazionale naturale”: passeggia cauto e regale sul sentiero e si allontana solo quando il gruppo di umani si avvicina un po’ troppo, travolto dall’entusiasmo di un rendez-vous così eccezionale. Più a monte, tra i rami e gli arbusti ne compare addirittura un’intera famiglia. A valle, invece, i puma non hanno timore di raggiungere quasi le strade deserte percorse da sparute automobili: perlustrano il loro territorio a caccia di animali, guanachi selvatici in particolare, di cui di tanto in tanto si trovano qui e lì teschi, femori e altri resti sui quali si sono alternati i protagonisti della catena alimentare locale. Dopo i puma, ci sono i condor e i caracara.
Viaggi su misura per tutte le stagioni
“Più che fuori stagione la chiamerei la nuova stagione” commenta Mauro Marianeschi, 36 anni, argentino di origini italiane. È uno dei responsabili del tour operator selezionato da Evaneos.it che da tempo lavora con questa innovativa piattaforma online, la quale mette in contatto direttamente i viaggiatori con gli operatori locali per costruire viaggi personalizzati e su misura fondati su esperienze autentiche. È la ricerca dell’unicità del viaggio che lo ha spinto a scommettere sui mesi invernali: “Per prenotare un soggiorno d’estate nel parco bisogna muoversi con almeno sei mesi di anticipo, le disponibilità di alloggi sono basse e i prezzi sono alti. Il viaggio tra aprile e ottobre consente di dimezzare la spesa e di godersi questi luoghi senza folla. Sempre più strutture stanno prolungando l’apertura anche ai mesi invernali. Una nuova stagione, appunto”. Che presenta anche altri vantaggi: le temperature non scendono mai troppo sotto lo zero e, soprattutto, non spirano, se non occasionalmente, quegli incessanti venti estivi che producono il cosiddetto effetto wind-chill, cioè la percezione di una temperatura decisamente più bassa di quella registrata dai termometri. Chi va spesso in montagna sa quanto le correnti fredde possano condizionare negativamente un’escursione. I numeri confermano: l’area protetta istituita nel 1959 intorno alla Cordigliera del Paine e alle tre Torri, dichiarata “Riserva della biosfera” dall’Unesco nel 1978, nel 2017 ha raggiunto la cifra record di quasi 265 mila visitatori, più del doppio rispetto a soli 10 anni fa (circa 128 mila nel 2007), e la crescita di anno in anno è costante. Ma le presenze sono concentrate soprattutto tra i mesi di novembre e marzo. Non c’è alternativa: chi vuole immergersi in certi paesaggi e ascoltare certi silenzi, deve scegliere la stagione alternativa, quella in cui si fa fatica a imbattersi in qualche altro trekker.
Patagonia: greggi al pascolo e posada
La Patagonia è un sogno e una leggenda. Per chi vive nell’emisfero nord del pianeta, rappresenta anche – insieme a poche altre destinazioni del mondo – l’essenza stessa della lontananza, con tutta la sua inevitabile dose di fascinazione. Per raggiungere Puerto Natales, provincia di Última Esperanza (un nome, un programma), occorrono 30 ore, seguendo prima la rotta aerea Roma-Santiago del Cile-Punta Arenas e percorrendo poi, in auto, da quest’ultima città di frontiera, strade che tagliano il paesaggio piatto per chilometri e chilometri. Pianure immense, a perdita d’occhio. Sembrano luoghi del nulla ma le recinzioni che li delimitano chiariscono che si tratta delle proprietà delle estancias, estese fattorie private. Qui e lì delle greggi al pascolo, qualche mucca, cavalli. Tra i cespugli bassi e la neve gli animali cercano qualche ciuffo d’erba da mangiare. Lungo la strada vale la pena di fermarsi in posti che sembrano usciti da una vecchia cartolina dei tempi dei pionieri o giù di lì. Come l’Hotel Posada Rio Rubens al chilometro 65 della Ruta 9: sandwich, hamburger, birra, pochi piatti di cucina locale ma, soprattutto, un’atmosfera da stazione di posta d’inizio Novecento, rimasta intatta dal 1929.
Le sorprese di Puerto Natales
Con i suoi 20 mila abitanti, le case basse, i pontili e i ristorantini, Puerto Natales è una tappa al tempo stesso necessaria e consigliata. Si possono fare acquisti last minute o noleggiare attrezzatura per il trekking da Carfran Patagonia, che organizza anche tour ed escursioni. Ma soprattutto è da mettere in agenda una sosta gastronomica da Rodrigo San Martín Rubio, 35 anni, e Paula Paula Ortiz Herrera, 30, nel ristorante Lenga, aperto di recente, che promette cocina indómita a base di ricette cilene rivisitate come il cheviche Nicanor o il brasato di guanaco. O da Santolla, con la sua location originale all’interno di alcuni container riadattati da Fernanda, 27 anni, architetto figlia dei proprietari Fernando Salazar e Isabel Nuñez (58 e 53): molto gustosi i piatti preparati da Victor Riquelme, 38 anni, Nathaly Godoy e Felipe Sandoval (entrambi 25), che utilizzano prevalentemente pescato locale, dal granchio reale al polpo, alle capesante.
Lungo il Pingo Trail, nella foresta primaria
Da Puerto Natales all’ingresso orientale del parco, nei pressi della Laguna Amarga, ci sono poco più di cento chilometri, ma con le strade ghiacciate occorre procedere con cautela e ci vogliono almeno un paio d’ore. Poco male: il sole si alza sull’orizzonte solo dopo le dieci e conviene fermarsi nei diversi punti di osservazione sul massiccio del Paine per ammirare (e fotografare) i panorami con la luce radente, prima di avviarsi verso il facile Fauna Trail. Si chiama così perché è il percorso migliore per vedere da vicino i guanachi selvatici e i nandù di Darwin (o Rhea pennata), uccelli questi ultimi che sembrano il punto di incontro tra il tacchino e lo struzzo. In alto, si ammira il volo elegante dei condor che, ad ali spiegate, sfruttano le correnti ascensionali.
Un giro di mate con i ranger
L’itinerario più noto del parco è quello chiamato W Trail, che si insinua in tre valli quasi parallele, disegnando appunto una W, e richiede più giorni di cammino. Ma se il tempo a disposizione è limitato, vale la pena di scegliere solo uno dei bracci e mettere in agenda il Pingo Trail. Questo sentiero che parte dalla Grey Ranger Station, nei pressi del Lago Grey, estremità sudoccidentale dell’area protetta, si inoltra nella sezione più vasta di foresta primaria sopravvissuta ai tre principali incendi (1985, 2005, 2011) che hanno devastato ampie zone del Parco e distrutto un’area di oltre 46 mila ettari (più di quattro volte Parigi). Per prevenire incendi e preservare al meglio questa sezione, le autorità del parco ne hanno fortemente limitato l’accesso: si può percorrere solo con l’accompagnamento di una guida espressamente autorizzata. Il sentiero che segue il corso dell’omonimo fiume permette di raggiungere uno dei luoghi più raccolti e suggestivi: la Cascada Salto, nascosta tra grandi massi e tronchi di lenga (Nothofagus pumilio) caduti. Il silenzio qui è rotto solo dal fluire delle acque. Al ritorno, se si ha un po’ di fortuna, ci si può scaldare condividendo qualche giro di mate con i ranger del parco nella loro stazione di guardia.
Lo spettacolo delle tre Torres
Per l’escursione più impegnativa, quella al mirador alla base delle Torres, si parte molto presto la mattina, quando è ancora buio e occorre indossare la lampada frontale dal parcheggio dell’hotel La Torres. Si sale a passo lento tra rocce, arbusti e alberi di lenga spogliati dall’inverno. Il buio accompagna i viaggiatori fino a mattino inoltrato. La luce compare solo quando sono ormai le dieci e mezzo. Si alza lo sguardo dal sentiero ed ecco, a sud, apparire l’immenso plateau, intervallato da cordillere, ghiacciai, depressioni e avvolto nella luce fredda della stagione. È proprio in quel momento che si ha la percezione netta di trovarsi immersi nella natura selvaggia. Quella natura che ricorda molto da vicino i paesaggi del film con Leonardo DiCaprio Revenant – Redivivo: stesse luci, stessi colori, medesime atmosfere desertiche e rarefatte. Ma il cammino è lungo, e l’ultimo tratto, ovvero la risalita della morena dell’antico ghiacciaio, ripido e impegnativo, è reso ancora più arduo dalla neve fresca che arriva al ginocchio. I ramponcini, indossati sugli scarponi per non scivolare sul ghiaccio, grattano sulle rocce. Ci vuole la massima cautela perché il manto bianco ricopre tutto, anche le possibili insidie (un buco tra i sassi, un tratto scivoloso). Sono trascorse cinque ore dalla partenza. Ma lì, all’improvviso, appaiono finalmente le tre Torri. È una piccola grande conquista. Si stagliano contro il cielo azzurro, alte e maestose sulla laguna alle loro pendici. Ma, soprattutto, senza una sola nube a nasconderle. Il dio del parco, oggi, è stato generoso con i camminatori.
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