Corsica, 48 ore da star

Questo articolo è stato pubblicato sul numero 34 di «Vanity Fair», in edicola fino al 29 agosto.

Poco più di quarantotto ore, da venerdì a domenica, per capire cosa sia il lusso, cosa il formalismo, cosa la disinvoltura e la semplicità ricercata. Dallo scalo per i voli privati dell’aeroporto di Milano Linate fino a uno sperone della Corsica meridionale con vista su Porto Vecchio, ospiti di uno degli alberghi più iconici della collezione di hotel da cent’anni giudice supremo dell’ospitalità a cinque stelle: The Leading Hotels of the World. Quarantotto ore per pesare il valore del necessario e del superfluo. Cogliere, se non il senso della vita, quantomeno il principio che innesca certe pulsioni rosse: le fantasticherie più accese, le aspirazioni legittime o impossibili, i desideri più sensuali e costosi.
Tanto per cominciare, c’è il comandante del volo GlobeAir diretto allo scalo di Figari che ci attende appoggiato alla carlinga del suo Cessna Citation Mustang, uno dei sedici in dotazione a questa compagnia austriaca di aerotaxi che serve 1.500 aeroporti in Europa, dai più piccoli come Saint-Tropez ai più trafficati d’estate: Ibiza, Olbia, Cannes.
Ci presentiamo in perfetto orario: che bravi, ma che ingenui. Avremmo potuto tardare più di un’ora, ci dice il pilota. E senza andare incontro ad ansia alcuna e a volgare sovrapprezzo: con poco più di ottomila euro andata e ritorno, da veri aristo-gate ci si può comprare questa coccola morbida e galleggiante, un’ora di volo bagnata di champagne e snack organici oppure catering gourmet, volendo. C’è chi utilizza i charter per importanti incontri di business. Chi invece ci fa volare un vestito, dimenticato a casa e giudicato indispensabile per una serata di gala. Oppure due tartarughe o sei gatti, è successo anche questo, per non stressare i propri adorati animali con un trasferimento di linea. Un lusso per pochi, vero. Ma che tenendo le antenne dritte può trasformarsi in un regalo accessibile: «Quando un aereo copre una tratta e deve decollare vuoto, scatta l’opzione “empty leg”», raccontano dal vettore, «prenotando con 48 ore d’anticipo sul nostro sito, lo sconto è fino al novanta per cento».

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Quindi ottocento euro diviso quattro, poniamo, passeggeri. Per fare come noi e ritrovarsi in un baleno sul terrazzo di una suite dell’hotel Casadelmar, che sarà per via della luce incorniciata dalle finestre immense che s’aprono alla giapponese con un gesto laterale delle vetrate oppure grazie al legno di cedro rosso e di ipè, il prezioso legno sudamericano, che lo riveste, ma sembra un luogo traspirante, dove inalare il fuori dal di dentro, e il dentro dal di fuori. Un parallelepipedo firmato dall’architetto Jean-François Bodin, autore del Musée National Picasso a Parigi e del Musée Matisse a Nizza. Circondato da due ettari di lecci, oleandri, buganvillee, glicini e cipressi bruciati dalla salsedine, che gli conferiscono un fascino leggermente lacustre, marittimo e alpino allo stesso tempo. «Vengono pochi italiani», racconta il direttore Gian Luca Bertilaccio, «e, in generale, ospiti un po’ scelti, diciamo così». Personaggi che volentieri s’armonizzano al ricercato codice d’ingresso del luogo. Come il grande stilista italiano che s’è presentato in pantaloncini al ristorante due stelle Michelin guidato dallo chef Fabio Bragagnolo, e senza fare un plissé ha accettato di adeguarsi al dress code della maison, che richiede per l’uomo se non la giacca quantomeno il lungo, e s’è accomodato a tavola con un pantalone fornito dalla casa. O la diva italiana che tutti gli ospiti delle 31 stanze hanno sentito strillare contro le figlie adolescenti, giudicate troppo chiassose alla reception. Poi George Clooney, arrivato coi suoi amici motociclisti. E Robert De Niro, che ha voluto assaggiare tutto, dal piccione al dentice, diventando matto per il tonno pinna gialla catturato a Saint Florent dal pescatore Damien Muller con la tecnica giapponese ikejime, che non fa soffrire l’animale e ne garantisce al contempo la perfezione delle carni. «La moglie lo riempiva di calcetti sotto il tavolo perché non esagerasse con le portate», ricorda Bertilaccio, «una scena spassosa».

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Un luogo, Casadelmar, dove il lusso slitta tra il poter fare qualsiasi cosa o il non fare assolutamente niente. Come la famiglia di industriali ebrei che a dodicimila euro al giorno ha affittato «la villa», leggermente discostata ma parte integrante dell’hotel, portandosi un rabbino da Parigi che controllasse la conformità kosher di ogni portata. Si può oziare nella piscina infinity o farsi condurre all’Isola di Cavallo col motoscafo Itama 55 sempre pronto per gli ospiti (a cinque minuti di barca c’è anche la spiaggia privata dell’albergo, La Plage Casadelmar, con 50 ombrelloni, un ristorante, e altre 19 camere lusso). Farsi massaggiare nella spa o trasportare in elicottero al villaggio montano di U Spidali, da cui partire per scalare le cime, a piedi o a bordo dei quad. Farsi accompagnare alle spiagge di Palombaggia e Roccapina, a cena a Bonifacio (imperdibile il ristorante La Caravelle, sul porto) oppure al golf club di Sperone, punteggiato di ville milionarie e con una delle calette più belle di Corsica, accessibile a tutti, proprio davanti alla buca numero 13.
Quarantotto ore per cercare una risposta, eccola: il formalismo è l’arte di imparare, anche dalle regole più sedimentate. La semplicità è dimenticarsi subito degli orpelli, come fosse stato un sogno. La disinvoltura, riprodurre l’essenza a casa propria, perché tutto è stato interiorizzato. Il vero lusso: poter ritornare.

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