Colombia, un Paese a tinte forti

Indios Misak al mercato di Silvia, Colombia

Sembra una metafora, per un Paese che ne ha passate davvero di tutti i colori. Eppure se c’è una cosa che colpisce subito della Colombia è il gusto delle persone per le tinte vivaci. Vale per gli schivi indios delle Ande come per gli estroversi abitanti della Costa nord atlantica, da Cartagenda de Indias a Santa Marta. È la cifra delle favelas delle città, a cominciare dalle Comunas di Medellín, un tempo le più pericolose del mondo e oggi in faticosa ma costante rinascita, anche grazie a un moderno sistema di trasporti e al Metro Cable, la funivia che le unisce al centro. E vale per la Candelaria, il quartiere più antico della capitale, Bogotà, un dedalo di viuzze che si inerpicano per la Sierra, oggi in restauro. Sono colorati perfino i cimiteri, affollati purtroppo di adolescenti morti per la violenza inestirpabile, finora, della criminalità e per i continui incidenti stradali. Tra fiori finti, palloncini e montaggi fotografici che mettono insieme i selfie, vedute di laghetti, foto di parenti e altri decori, perfino le lapidi non sono come in altri Paesi.

La Comuna n.º 13 San Javier di Medellín, una delle 16 favelas della città, vista dalla funivia. Foto di Carlo Rotondo

La Comuna n.º 13 San Javier di Medellín, una delle 16 favelas della città, vista dalla funivia. Foto di Carlo Rotondo

Il senso dei colombiani per il colore è di sicuro ispirato alla natura circostante. La Colombia vanta il primato mondiale per la  varietà di uccelli, che vanno dal condor andino e dai pellicani, fino ai minuscoli colibrì e una quantità di pappagalli e piccoli fringuelli variopinti. Benché il Paese abbia subito danni devastanti all’ambiente e siano inquinati due ecosistemi magnifici, come la Cienaga, la grande laguna tra Cartagena e Santa Marta, e la costa di Santa Marta, appunto, aggredita dal porto carbonifero e dalle costruzioni scriteriate, la coscienza ecologista sta crescendo. Certo, tra i 322 líderes sociales assassinati tra il dicembre 2016 (data dell’accordo di pace con le Farc) e il luglio 2018, molti si occupavano di ambiente. Però proprio nell’estate 2018 è stato ampliato il Parque nacional natural Serranía de Chiribiquete che racchiude la maggiore biodiversità dell’America Latina e non è aperto al turismo.

Indios Misak a Silvia. Foto di Carlo Rotondo

Indios Misak a Silvia. Foto di Carlo Rotondo

La chiusura al pubblico non serve soltanto a evitare i danni dell’impatto umano sulla natura. Ma anche sulle comunità indigene, che in Colombia sono state le prime vittime non soltanto della conquista coloniale e dello sfruttamento successivo del Paese, ma anche dell’interminabile guerra civile e del narcotraffico. Nonostante la decimazione, proprio gli indios hanno saputo conservare e difendere culture millenarie. È il caso dei Misak, il cui bellissimo mercato, a Silvia, nel Cauca, ogni martedì, è anche un evento di resistenza e di alleanza. A proposito di colori, gli abiti dei Misak, tessuti a mano dalle donne, che filano perfino quando camminano o fanno acquisti, sono un esempio di senso estetico raffinatissimo: le donne indossano gonne nere e ponchos indaco bordati di viola. Gli uomini l’esatto contrario: gonne indaco-blu e ponchos neri. In testa portano o le bombette di tipo britannico o cappellini di paglia a più strati.

Maschera in oro del Museo del Oro di Bogotà. Foto di Carlo Rotondo

Maschera in oro del Museo del Oro di Bogotà. Foto C. Rotondo

Là dove il Rio Magdalena, il lunghissimo fiume che lentamente attraversa tutto il Paese, si getta nel mare, a Nord, sull’Atlantico, il paesaggio e i colori sono del tutto diversi. Le popolazioni caraibiche, incredibile incrocio di popoli di tutto il mondo, Asia, Africa, Europa e America, amano le tinte fosforescenti. Le case di Cartagena, a cominciare dal bellissimo quartiere di Getsemani, sono gialle, blu, rosa, lillà. A Santa Marta le pareti verdi rosse e gialle si confondono con le mercanzie di improbabili empori, dove tutto è eccessivo, e con l’incredibile varietà di frutta, ortaggi e pesci del mercato. Torna certo, quella stessa fascinazione per ciò che splende che ha origini antichissime e che rivela tutta la sua magnificenza nel Museo del Oro di Bogotà, la capitale, tra i più belli al mondo.

Una statua nel museo del parco archeologico di San Agustìn, Colombia. Foto di Carlo Rotondo

Una statua nel museo del parco archeologico di San Agustìn, Colombia. Foto C. Rotondo

Erano coloratissime anche le statue delle antiche popolazioni indigene, come quelle a guardia delle tombe del Parco archeologico di San Agustín nel dipartimento di Huila. Ma oggi i colori sono quasi del tutto scomparsi. mentre è immutato il giallo inconfondibile delle farfalle di cui narra Gabriel García Márquez, che popolano le siepi fiorite intorno alla casa dei nonni in cui il Premio Nobel per la letteratura è cresciuto, ad Aracataca, e che oggi è un museo. Per noi tutti, e per gli stessi abitanti, è l’indimenticabile Macondo di Cent’anni di solitudine. È stata molto sola, la Colombia, in questi decenni di guerra civile e in particolare tra gli anni Ottanta e l’accordo di fine 2016. Adesso, sia pure tra mille problemi, a cominciare dall’espansione crescente delle coltivazioni di coca, si può di nuovo attraversare. Fermarsi soltanto alla costa atlantica o sulle isolette che la fronteggiano sarebbe un peccato. La Colombia, che vive di tinte forti, come di odori acuti e piogge torrenziali, la cui popolazione è tanto vivace nelle proteste quanto irrefrenabile nel ballo e nelle risate, sa regalare incontri indimenticabili.

Processione della Vergine del Carmen, protettrice dei trasporti, tra San Agustìn e Popayan. Foto di Carlo Rotondo

Processione della Vergine del Carmen, protettrice dei trasporti, tra San Agustìn e Popayan. Foto di Carlo Rotondo

Non a caso in uno dei suoi magnificit incipit, quello di Dell’amore e di altri demoniGabriel García Márquez scrive: «Un cane cenerognolo con una stella sulla fronte irruppe nei budelli del mercato la prima domenica di dicembre, travolse rivendite di fritture, scompigliò bancarelle di indios e chioschi della lotteria, e passando morse quattro persone che si trovavano sul suo percorso. Tre erano schiavi negri. L’altra fu Sierva Marìa de Todos los Angeles, figlia unica del marchese di Casalduero, che si era recata con una domestica mulatta a comprare una filza di sonagli per la festa dei suoi dodici anni…»

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