Madagascar: la vacanza è una scienza

Nonostante l’impegno profuso dagli animatori del club Francorosso di Nosy Be, la sfilata in abiti malgasci, alla fine, non m’è piaciuta. Eppure a livello conscio non m’era parso, anzi: azzeccata l’ambientazione nella zona bar, proprio in riva al mare. Graziose le animatrici in pareo e interessanti gli accessori, acquistabili nella boutique del SeaClub Amarina Resort, struttura del gruppo Alpitour posizionata su una baia del Madagascar bella da far spavento, con la marea che sale e si ritira ogni sei ore e trentacinque minuti, da millenni.

Ma alla fine, niente da fare. La mia asimmetria frontale ha espresso livelli di coinvolgimento piatti, le mie onde theta non si sono innalzate, la mia interazione galvanica è rimasta tiepida. Non sono io a dirlo, intendiamoci. Ma è la sentenza incontrovertibile dell’apparecchio elettroencefalografico che mi è stato posizionato sulla testa dagli esperti di Thimus, un team di psicologi e ingegneri biomedici che applica le neuroscienze al mondo slittante del marketing. Con lo scopo, dichiarato, di rispondere con esattezza galileiana a dilemmi quasi esistenziali: cosa ci piace davvero e cosa no? Cosa attiva la nostra attenzione e cosa invece la smorza? Sappiamo davvero che cosa amiamo oppure siamo condizionati da mille pregiudizi che ci distraggono dal succo di noi stessi?

Un approccio rigoroso e misurabile insomma, per uscire dal mondo delle opinioni ed entrare in quello della mente profonda, animale e più antica, che abbiamo sperimentato durante 8 giorni di viaggio tra giungle ancestrali, atolli corallini e creature selvagge sulla soglia dell’estinzione. Ma anche partite di beach volley infinite, sedute di yoga al tramonto che più turistiche non si può e spettacoli serali di gag e cabaret organizzati nei resort e villaggi che ci hanno ospitati. «È un metodo sperimentale già applicato ai nostri tre Boeing 787 Dreamliner della Neos, su cui abbiamo realizzato un nuovo sistema di illuminazione e di esperienza a bordo proprio in seguito ai test», racconta Simona Nocifora, direttrice della comunicazione del Gruppo Alpitour a cui fanno capo le strutture Bravo Andilana Beach e Amarina. «Ora vogliamo fare un passo ulteriore: misurare scientificamente il piacere della vacanza».

Un’indagine sull’azione profonda delle emozioni quindi, monitorata da tre strumenti che Thimus, spesso in contemporanea, applica alle indagini di consumo. Da un lato un apparecchio Eeg wireless, elettroencefalogramma di ultima generazione che grazie a sensori imbevuti di un liquido conduttore rileva l’attività cerebrale: «È come un microfono puntato sulla mente», spiega Andrea Bariselli, psicologo clinico e fondatore della start-up insieme a Mario Ubiali. A «cantare», per così dire, ci sono le onde theta, che danzano tra i tre e gli otto hertz e corrispondono a uno stato di pienezza mentale vicino alla meditazione. E poi le alpha, che raccontano la mente quando è in stato di ricettività e rilassamento. E quindi le beta, le onde dell’azione e dei processi cognitivi più complessi. «Anche se il parametro più interessante è relativo all’asimmetria frontale: se si attiva di più l’emisfero destro allora è in corso un processo di repulsione e di avoidance. Se si accende maggiormente il sinistro, le sensazioni sono opposte, e si parla di approach».

Il tutto, incrociato con le rilevazioni dell’eye tracker, un occhiale a infrarossi da decine di migliaia di euro in grado di registrare i movimenti oculari (detti «saccadi») e stabilire con precisione dove si focalizza l’attenzione. E infine il galvanic skin response, un piccolo elettrodo collegato alle dita della mano che incrocia i livelli di sudorazione con l’attività emozionale.

Attrezzato così, come un cyborg o un esploratore neuronale, faccio comunicare la mia mente con l’ambiente selvaggio e con il vintana, l’energia che secondo il popolo del Madagascar, di religione animista, mette in comunicazione il mondo terreno con la dimensione celeste. Un universo governato da un dio che i malgasci chiamano Andriamanitra, «il Signore dolce, profumato», e mi accoglie mentre sbarco nel villaggio di pescatori di Amboso, una ventina di capanne in mezzo ai manghi (il loro frutto è un potente antinfiammatorio) e agli alberi sacri di baobab, coi frutti che offrono una polpa da liofilizzare e miscelare al latte dei bambini, per dar loro sali minerali e acido ascorbico. Mi siedo in riva al mare a guardare l’orizzonte e cerco di raccogliermi in me stesso. Scrivo qualcosa sulla sabbia e le onde alpha dedicate al relax e alla recettività si alzano di colpo, raggiungono un picco quando indosso un cappello per ripararmi dal sole, crollano quando il drone del nostro fotografo mi passa sulla testa, inserendo un elemento di disturbo profondo.

Equilibri sottili, qua e là attesi e qua e là stupefacenti, oltre la cultura personale, oltre la logica superficiale. Una sera sfido me stesso e vado ad assistere allo spettacolo degli animatori, organizzato nel teatro dell’Andilana Beach. Entro e prendo posto con tutti i pregiudizi accumulati: mai stato in un villaggio in vita mia, mai assistito a uno show di questo tipo. Osservo tutto con lo spirito snob più acceso ma i grafici degli apparecchi mi smentiscono in fretta: durante la sigla il mio piacere raggiunge una vetta elettrica, «perché il cervello funziona per format e canovacci», spiega Bariselli, «e il fremito iniziale è irresistibile». Il numero della danzatrice che si muove come una marionetta guidata da fili immaginari fa impennare la mia attenzione attiva. Il momento dedicato al karaoke, che pur sapevo di amare, mi manda in paradiso.

Al contrario, l’attracco a Nosy Iranja, isola del canale del Mozambico fatta da due testuggini verdi collegate da un velo di sabbia bianca, mi dà emozioni contrastanti: subito un crollo all’arrivo, «forse per la presenza delle imbarcazioni e di un fattore umano da cui avresti voluto distaccarti», mi spiega Ubiali osservando i dati, «fossi arrivato trascinato dalle onde, sarebbe stato diverso». Poi una lenta risalita fino all’estasi biochimica all’incontro con uno stormo di gabbiani, piccoli come rondini, che si sono sollevati in volo al mio passaggio. Completamente positiva invece l’esperienza nella riserva di Lokobe, una giungla ancestrale in cui vive l’uroplatus, uno dei gechi più rari del mondo: «Siete fortunati ad averne trovato uno», dice Luca, la guida, mostrando questo piccolo drago dalla coda a foglia, appena raccolto alla base di un tronco, «per vedere il primo, io ci ho messo sette anni». Racconta d’aver scoperto alcune specie non ancora classificate, questo italiano trasferitosi in Madagascar quindici anni fa, cultore della biofilia e sostenitore della detribalizzazione dei viaggiatori, da spingere con delicata fermezza verso le esperienze più intense. Ha scoperto un lemure dalla testa tigrata e dai testicoli enormi.

Poi un camaleonte lungo sette millimetri che vive su un’isola privata, col proprietario che ne nasconde l’esistenza alla comunità scientifica per paura che venga trasformata in una riserva protetta. Un’immersione nel Paleozoico durante la quale, per cinquanta minuti ininterrotti, le strumentazioni hanno rilevato un piacere denso, un’asimmetria frontale altissima, senza cali, senza contraddizioni. «È il wilderness effect», spiega Bariselli, «nella natura il cervello torna alla sua condizione basilare, può spaziare ed è a suo agio. In psicologia è nota come Attention restoration theory».

Tornato in hotel, e sottoposto a monitoraggio costante, vado a fare un massaggio nella spa, cosa che non amo, coccola che mi annoia. Mi stendo sul lettino, forse mi addormento per qualche istante, e vengo contraddetto ancora: buon livello di relax, dice il referto. Ma nulla in confronto al godimento costante, acceso e calmo che ho provato nella giungla, cercando tra i rami il microcebus (un lemure grande come un ghiro) o stanando la mimesi perfetta della mantide fantasma. Meno male: torno a casa con tanti dubbi. Ma qualcosa, su me stesso, la conosco ancora.
foto Andrea Frazzetta

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