Di Pietro Pirelli
Uno di quei brevi viaggi che lasciano un segno. Quando arrivi a L’Havana ti senti subito in un altro pianeta. Il tuo mondo è ancora dentro di te e quasi ti domandi se effettivamente ti sei staccato o stai sognando.
Di Cuba te ne innamori. I tuoi accompagnatori diventano gli amici del posto che ti aiutano a capire il passato e il presente del Paese, ti fanno riflettere sul domani e desiderare per i cubani il migliore futuro possibile. E’ un posto isolato dal resto del mondo che ha percorso con dignità una sua strada, ne è consapevole e non vuole rovinare tutto di fronte al “mercato”. Ma è chiaro che ha bisogno di misurarsi con il contesto mondiale. Guardi tutto ciò con preoccupazione ma anche con fiducia. La preoccupazione ti viene perché percepisci una certa vulnerabilità. Le condizioni materiali delle persone sono critiche, la società è impostata in modo da garantire a tutti salute e istruzione, credo anche giustizia, ma il Paese è isolato e boicottato dall’embargo. Per quanto tempo i cubani potranno tenere insieme i pezzi di queste vecchie auto americane? La gente ti guarda con il sorriso, sempre disponibile, mai molesta o invadente. Dà un diverso valore alle cose, si gode quel che ha e lo condivide. Fa tanta bella musica e la suona ovunque. Si balla.
Ma certo non significa che le persone siano ingenue. Anzi, è proprio il livello culturale, l’orgoglio della propria storia e il senso del bene comune che ti fanno pensare con fiducia ad uno sviluppo del Paese, sicuramente su strade diverse da quelle percorse da noi. Certo molti cubani saranno stufi, ma hai l’impressione che se vogliono possono esprimersi. O forse no?
Così con i nostri accompagnatori, Carlitos e David, parliamo di queste cose e ci sentiamo un bel gruppo di viaggiatori.
Non ha senso fare un confronto fra diverse realtà parlando di modernità o arretratezza. Anzi, guardando i buoi nei campi al posto delle macchine, e i carretti trainati dai cavalli e le biciclette sull’autostrada, ti viene da pensare se siamo noi a vivere meglio o loro. Siamo noi o loro quelli più “sostenibili”? Sicuramente sarebbe sciocco guardare le cose con ingenuità bucolica, i Cubani certo ne riderebbero, però ti viene da pensarci…
Il viaggio che ci è stato proposto ci ha fatto vedere tante cose: nell’architettura la memoria dei fasti coloniali, nelle campagne il racconto dello schiavismo, nei monumenti l’esaltazione della rivoluzione castrista. Fascinose le strane montagne di Viniales, a cornice di queste grandi coltivazioni del tabacco. Tutto questo lavoro per una cosa che non si mangia e che va in fumo…
Un po’ di spiagge, campagne e città… Una visita a una fattoria. Si ragiona sul ritorno ad una certa agricoltura, ma con nuove sapienze. Non più le vaste monocolture per il mono-cliente sovietico.
Le città: Trinidad mi colpisce ma mi interessa meno di Havana. Ha qualcosa di artificiale, non è il tempo che si è fermato ma sembra fermato per i turisti. La città vive di quello? Non si stufa la gente che ci abita? Però a Trinidad l’incontro poetico con il “poeta geografico”!
Percorsa una lunga penisola raggiungiamo le colonie di fenicotteri, che coabitano con una varietà di volatili. E’ un luogo calmo e sospeso su sottili zampe. Il piumaggio prende il colore di quel che si mangia: gamberi.
Viva Cuba!
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