Il 22 Aprile si celebra la Giornata Internazionale della Madre Terra, una ricorrenza volta a riconoscere “la responsabilità di tutti di promuovere l’armonia con la natura e la Terra per raggiungere finalmente un equilibrio tra i bisogni economici, sociali e ambientali per le generazioni presenti e future”.
Per festeggiare l’evento vi proponiamo la lettura di questo racconto di viaggio svoltosi in Colombia, dal titolo “Nostra Madre Tierra”. E’ il nostro personale modo di ricordare come noi amiamo percorrere la Madre Terra: con cura, rispetto, ascolto, in uno scambio equo e virtuoso, in un ricevere e dare che arricchisce e non spoglia. A noi piace parlare alla Madre Terra con parole gentili perché essa è la base della nostra esistenza: è viva, pulsa, respira…
Nuestra Madre Tierra
di Paolo Patuzzo
Cesar dalla sua mochila, borsa tessuta a mano dagli indigeni, estrae qualche foglia di coca e la porge in dono ad un capofamiglia Kogi, una delle innumerevoli etnie di indios che popolano la Colombia. Scambiarsi le foglie della pianta sacra è un segno che ad altre altitudini può corrispondere a stringersi la mano. Cesar e la sua compagna hanno fondato un’associazione che dal 2005 collabora con gruppi di donne indigene appoggiando l’artigianato e il recupero delle tradizioni, soprattutto quella tessile. Insieme ad una equipe multidisciplinare formata da sociologi, psicologi, antropologi lavorano alla creazione di spazi di dialogo tra le anziane e le donne più giovani delle comunità che hanno dimenticato come si tesse.
“Nei disegni delle mochilas c’è l’illuminazione della donna che l’ha cucito” ci dice Cesar. Tessendo, trasmettono il conoscimento profondo della realtà e le tradizioni ancestrali. Ci si può impiegare anche un mese per tessere una borsa, dipende quanto elaborate siano queste rappresentazioni.
Presto l’associazione si accorge che sviluppare commercialmente le borse non sarebbe stato sufficiente a dare benessere alle comunità. Si implementano altri progetti come il diritto alla salute e l’autonomia alimentare per poi continuare con il dialogo con le istituzioni colombiane affinché venga rispettata la multi-culturalità, l’ambiente e l’uguaglianza di tutti gli strati della società, indigeni e non.
Camminiamo nella selva, a un’oretta da Santa Marta, capitale del Departamento di Magdalena, Caribe colombiano. Siamo giusto ai piedi della Sierra Nevada, la catena montuosa costiera più alta al mondo che arriva a picchi di quasi 6000m. “Quando è limpido si riescono persino a vedere le cime innevate dalla spiaggia tropicale”. Cesar ha i capelli arruffati, sneakers basse ai piedi, pantaloni in panno e la camicia un po’ aperta da cui sbuca una bella pancia.
Con la sua voce un po’ impastata ci dice: “la cultura e il sapere ancestrale significano presenza e permanenza, identità e garanzia di sostenibilità. Da lì nasce l’importanza del recupero e dell’utilizzo quotidiano delle tradizioni come fondamento e mezzo per migliorare la vita di tutti i popoli”. I nostri ospiti sono entusiasti del loro lavoro e si capisce quanto la spiritualità degli indigeni susciti in loro molto interesse e fascino.
“Avevo dei pipistrelli che si erano installati in casa e non riuscivamo a liberarcene. Alla fine ho chiamato un mamo, colui che è responsabile dell’ordine naturale attraverso canti, meditazione e offerte rituali. Il mamo capì che la casa aveva energie negative per la presenza anche di due pietre sacre che non dovevano essere lì ma nel loro luogo.”
Raggiungiamo un fiume e ci immergiamo sette volte, attorno è tutto un cinguettare esotico di uccelli e il vento fa muovere il verde che di nuovo ci si presenta con tante diverse tonalità.
“Vedete gli alberi, il fiume, la madre terra? Sono vivi e noi dobbiamo custodirli. Gli indigeni hanno ben presente questo mentre l’uomo bianco ha altri piani. Con l’associazione proviamo a mediarli, anzi la maggior parte delle volte si cerca di convincere le autorità che sono in errore. Un lavoraccio politico di pubbliche relazioni!”. Ci asciughiamo sulle rocce e Cesar continua raccontarci il loro impegno nella parte alta della Sierra Nevada. Lassù si incontrano 4 popolazioni (Kogi, Wivas, Arhuacas e Kankuamos) per cui la Sierra oltre ad essere il luogo d’origine è una montagna sacra.
“La terra è il cuore del mondo, è la base fondamentale della nostra esistenza. La perdita significa perdere la cultura e la vita. Non solo è spazio geografico o di risorse economiche ma soprattutto il luogo principale dove apprendere la conoscenza e la saggezza per mantenere viva la popolazione presente e futura.”
Verso sera torniamo a Santa Marta, passeggiamo sul lungomare. Molte famiglie sono ancora in spiaggia a godersi il tramonto, il mare è fermo, le palme ondeggiano ipnotiche, qualche baracchino vende birre, bibite e qualcosina da mangiare. C’è un’atmosfera rilassata e da varie radio esce musica reggaeton o vallenato. Sul molo alcuni ragazzini sfidano i passanti a gettare qualche monetina in mare cosicché loro possano tuffarsi, andare a recuperarli e ovviamente tenerseli. Pure il sole, ormai arancione, si tuffa in acqua.
La mattina prima di partire per Cartagena, Cesar ci invita per il desayuno, la colazione, e per un piccolo rituale di buon viaggio. Percorriamo una spiaggia bianca a pochi km da Santa Marta, le colline aride gialle, verdi e marroni contrastano con il blu del mare. Alla nostra sinistra notiamo un villone abbandonato, nel classico stile Scarface, ex-proprietà di un narcotrafficante in prigione da anni. Alcuni pescatori si lamentano della battuta di pesca finché piegano le reti, qualcuno fa jogging e il vento ci frusta con la sabbia fine.
Arrivati in fondo ci mettiamo all’ombra di una grande roccia. Cesar ci da delle pietruzze colorate da tenere in pugno e ci lega ai polsi dei braccialetti bianchi. Inspiriamo. Espiriamo. Meditiamo. Alcune pietruzze vengono scagliate in mare insieme ai sentimenti negativi. Altre vengono riposte in piccoli anfratti della roccia sacra. Cesar ci augura buona vita.
Siamo pronti per ripartire.
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