Israele, sulla via della memoria dal deserto al mare

Deserto e calore, un sole alto, avvolgente, di quelli che da noi è luglio pieno. Invece è inverno in Israele, a Eilat, Golfo di Aqaba, estremità orientale del Mar Rosso, che proprio lì confina e affaccia con Giordania (Aqaba) e Egitto (Taba). Appena atterrati è la luce forte e calda a fare gli onori di casa. Tanto da dimenticare l’alba umida di pioggia lasciata a Orio al Serio solo tre ore e mezzo prima (Ryanair ha nuovi voli diretti su Eilat e in un niente si è lì, con possibilità nel viaggio di risalire il territoro e tornare poi da Tel Aviv).

Israele. Paese che istintivamente porta a pensare a due città, “le due capitali”, Gerusalemme e Tel Aviv. Terra di convivenza, tormentata, delle tre più grandi religioni monoteiste. Terra in cui le tensioni restano aperte e accese. Ancora di più dopo la decisione di Donald Trump di ridare a Gerusalemme il titolo di Capitale. Decisione non riconosciuta all’ONU da 5 Paesi UE, tra cui l’Italia. E la querelle continua. Ma il nostro è un viaggio tutto da raccontare. E mettere piede a Eilat fa capire che Israele è molto altro. Una cosa su tutte: è natura. Una natura viva, e viva proprio a partire da due elementi: il mare e il deserto.

Il Mar Rosso in principio, barriera corallina e mare trasparente. Lo snorkeling con i delfini, al Dolphin Reef Eilat. Dove c’è anche una spa con trattamenti simili al watsu (water-shiatsu), un massaggio in acqua ipnoticamente “regressivo”: sembra di tornare nel ventre materno. E poi, più su, ovvero salendo verso il nord, ma più giù, arrivando nel punto più basso della Terra ecco la meraviglia del Mar Morto: ci si arriva attraversando una strada d’asfalto nuovo fiammante e tornanti che si offrono come terrazze panoramiche su un mare (che in realtà sarebbe un lago salato, ma ci piace chiamarlo mare) che si fa sempre più vicino. Con il deserto che lo culla, e in parte lo sta divorando. Farci il bagno è un’esperienza di sospensione. Totale. Fa tutto lui. Ci si deve soltanto lasciare andare. Farsi prendere. Uno stacco netto, potente, innaturale, al nostro quotidiano controllo. In un tramonto che quasi ogni sera si fa violaceo tra sabbia e promontorio. La cena beduina fa levare i calici, in pieno “stalbet”: è un modo di dire ebraico per i giorni di festa e di ozio. Sedersi comodi, bere, mangiare e chiacchierare. Rito lontano, ma non troppo dai baccanali romani.

Lasciando il mar Morto si punta dritti su Masada, sito archeologico patrimonio dell’Umanità UNESCO. Riconosciuto come tale per la sua bellezza, ma anche perché simbolo “dell’afflato verso la libertà e contro la tirannia”. Una fortezza costruita sulla roccia desertica a 400 metri sul livello del mare da Erode il Grande tra il 37 A.C. e il 31 A.C. Per arrivarci oggi si prende una funivia. Oppure i più temerari possono percorrere il Sentiero del Serpente, l’unica via di accesso alla fortezza. «Tanto tortuoso da impedire ad un soldato romano di poggiare entrambi i piedi». Così si diceva. Però i romani nel corso della prima guerra giudaica (70 A.C.) la assediarono per ben tre anni fino a che riuscirono a farla propria. Ma una volta lì vi trovarono uno spettacolo raccapricciante. I mille abitanti della fortezza, tutti ebrei (Sicarii), si tolsero la vita. I padri uccisero le loro famiglie e si uccisero a loro volta. «Se non posso scegliere come vivere, scelgo almeno come morire», così si compì quel grande suicidio collettivo. Parole che riecheggiano ad ogni passo. Di fronte il mare. Intorno il deserto roccioso. Vivo e soleggiato.

E veniamo al deserto ora, questo deserto del Negev, narrato proprio nel Testo Sacro. Un deserto che occupa più della metà del Paese. Nel suo cuore, il fondatore dello Stato d’Israele (1948) e il primo a ricoprire l’incarico di Primo Ministro, David Ben Gourion, decise di trasferirsi con l’amata moglie, per vivere in un kibbutz, Sde Boker. Lo trasformò in un luogo attivo e operoso. E tutt’oggi, nel suo ricordo vivo, Sze Boker vive e produce. Al culmine del Monte Negev la vista e il respiro si possono perdere nel cratere più grande del mondo: Makthtesh Ramon, in italiano il Cratere Ramon (ha una lunghezza di 40 km, una profondità di 500 metri, è largo 2-10 km). Tutta l’area circostante costituisce il più grande parco nazionale di Israele, la riserva naturale di Ramon, tra stambecchi e meraviglie cromatiche.

Dopo un’immersione così profonda nella natura – e nelle radici – d’Israele il viaggio non può che portare a Gerusalemme, città potente, enigmatica, spirituale, grottesca, elegante. Gerusalemme è tutto e il contrario di tutto. Camminare nella città vecchia, ritrovarsi dentro la Basilica del Santo Sepolcro, passeggiare nel Giardino del Getsèmani, osservando fedi diverse commuoversi in altrettanti modi. Le lacrime e i canti delle donne, nella parte a loro riservata, al Muro del pianto in un venerdì di Pre Shabbat. E unite ai loro canti gioiosi, ricolmi di energia e speranza, gli uomini, teste basse in un movimento costante a mo’ di annuire, con in mano la Torah, recitanti. Mentre questo si compie, dall’altra parte del muro, il muezzin dalla moschea richiama alla preghiera.

Tappa imprescindibile è il museo Yad Vashem, l’Ente Nazionale per la Memoria della Shoah. Un percorso – obbligato – nella storia di un popolo e della sua persecuzione. Con celebrazione anche dei Giusti fra le Nazioni: rischiarono le loro vite per salvare gli ebrei, e tra di loro c’era anche Gino Bartali a cui sarà dedicato quest’anno il giro d’Italia (partirà il 4 maggio 2018 proprio da Gerusalemme).

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Ma di Gerusalemme non si può non registrare la modernità e la capacità di fare racconto della Storia: le Mura della Cittadella nella Torre di David diventano il palcoscenico di uno spettacolo che narra i 4.000 anni di storia di Gerusalemme (Re Davide, le conquiste romane, Maometto, i Crociati, Saladino il Magnifico, ecc. ecc.). Il tutto grazie alla realtà virtuale aumentata.

Israele è a tutti gli effetti un paese molto fertile dal punto di vista creativo, dell’innovazione. E Tel Aviv incarna in pieno questo spirito. Esiste da un centinaio d’anni, capitale della tecnologia e del futuro. 400.000 abitanti. È un’altra faccia ancora: qui ci si sente pervasi di bellezza, modernità, eleganza. Negli Anni Trenta l’hanno disegnata i migliori architetti: la white city lineare, elegante e minimalista, Rotchschild boulevard con la sua esplosione di Bauhaus ne è l’esempio. Dormite al 65 Hotel. E da lì perdetevi tra vie di giovani fashion designer, godetevi un tramonto sul mare, e poi, andate a Jaffa, antico porto arabo, hipster la sera e vintage di giorno, con il suo imperdibile mercatino delle pulci. Per tornare a casa con qualcosa di vero.

Shalom.

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