«Stivaletti di pelo» in aeroporto? Mai più!

Eh no, il dress-code in volo e in aeroporto non è cosa da sottovalutare. E se è vero che in nome della comodità sugli aerei si vedono le cose peggiori (basta con la tuta-pigiama, dai!) anche la scarpa «sbagliata» può causare qualche difficoltà. È successo alla cantante inglese Joanne Catherall, che si è vista negare l’accesso alla lounge della compagnia Qantas nell’aeroporto di Melbourne. Il motivo? Gli «stivaletti di pelo».

L’addetta all’accoglienza della lounge le ha spiegato che gli stivaletti vengono considerati dalla compagnia come «pantofole» e che le pantofole non sono ammesse. Di conseguenza è stata invitata a comprarsi un paio di «vere scarpe» prima di ripresentarsi alla lounge. Prima mossa della cantante (prima di andare al duty free)? Ha subito tweettato il suo disappunto, per poi godersi la reazione della rete. Che non ha tardato ad arrivare: una sollevazione netta in difesa del bistrattato «stivaletto di pelo» per riaffermarne la dignità di «vera scarpa». Oltre ai tanti che commentano che, visto i costi di un volo in business, almeno ci si goda di tutti i benefit del caso, qualsiasi outfit si sia scelto.

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Un portavoce di Qantas ha risposto direttamente al tweet della cantante ricordando che la compagnia e i suoi addetti agiscono coerentemente alle linee guida d’abbigliamento indicate sul portale dell’azienda per tutti gli ospiti della lounge. Lo stesso discorso è applicato infatti anche a una varietà di altri indumenti come quelli da spiaggia, da palestra e le infradito. Ok per le flip-flop, ma da quando gli stivaletti di pelo sono pantofole? 

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D’accordo o meno, resta il fatto che lo stile troppo casual è bandito da tanti, chiunque tu sia e indipendentemente da quanto tu abbia pagato. Non è solo lo stivaletto di pelo a venire bollato come inadatto ed ad essere esiliato per sempre dal territorio dell’eleganza, ma vale lo stesso per tutta un’altra serie di abiti, considerati «a rischio» quando si tratta di aeroporti e viaggi aerei.

Vi ricordate delle ragazze bandite dal volo United Airlines per essersi presentate con i leggins? O del ragazzo respinto su un volo Delta perché indossava una t-shirt con scritto «Terrorists gonna kill us all» (“i terroristi ci uccideranno tutti”). Insomma, anche l’ironia è un criterio soggettivo da pesare con attenzione durante la scelta dell’outfit di viaggio. Stesso discorso per tutte le altre magliette potenzialmente offensive, o troppo succinte, o per quei pantaloni talmente cascanti che mettono in mostra parti del corpo che non tutti sono contenti di vedere (vedete cosa non portare mai in volo nella gallery sopra).

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La decisione su ammissione ed esclusione da un volo secondo decenza e buon gusto viene di norma lasciata alle valutazioni del personale della compagnia aerea. Certo alcune specifiche lasciano spazio all’interpretazione: «I vestiti non devono contrastare con quelli degli altri passeggeri» (Thai Airlines), oppure «Vestiti come se andassi al lavoro» (Virgin Airlines), «Vestiti secondo la classe in cui viaggerai, se non sarai appropriato, verrai retrocesso di classe» (Iberia).

Cari viaggiatori, insomma, quando si tratta di volare non adottate la tecnica del “prendere la prima cosa che trovate nell’armadio”, perché se come prima cosa trovate il vostro «pigiamone di pile» o la vostra maglietta sconcia con su una frase da heavy metal rischia che saltino le vacanze.

 

 

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