Le nuove città stanno a galla

E se il futuro delle città fosse galleggiante? Nel 2018 vivremo ancora saldamente sulla terraferma, non dovete prepararvi, ma sempre più centri ricerca, studi di architetti e istituzioni stanno valutando la possibilità che il futuro urbano sia in mezzo agli oceani. Oggi il rapporto tra le metropoli e il mare è di timore e contesa. L’innalzamento delle acque costiere a causa del riscaldamento globale minaccia decine di città: prima della fine del secolo Miami, Ho Chi Minh City, Mumbai, New Orleans potrebbero essere sott’acqua.

E tante altre hanno lanciato la loro espansione sul mare: il 25% di Singapore è costruito su superficie sottratta all’acqua, il 20% di Tokyo è stata edificata su isole artificiali, simili a quelle dei complessi edilizi di lusso a Dubai. A Londra si studia un villaggio sul Tamigi di fronte ai Royal Docks. Il nuovo centro eventi di Rotterdam galleggia di fronte al porto. Questo il presente: l’espansione acquatica delle città. Ma il futuro potrebbe essere l’urbanizzazione direttamente sul mare, prospettiva che sta passando da «fantascienza pura» a «visione a lungo termine». Sono i cosiddetti moonshot, i progetti all’apparenza impossibili di fondazioni hi-tech e visionari vari, come il treno ad aria compressa Hyperloop o la conquista di Marte.

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Il progetto per l’abitabilità del mare più noto e avanzato di tutti è il Seasteading Institute, fondato da Patri Friedman (nipote dell’economista Milton, Nobel per l’economia) e finanziato da Peter Thiel, uno dei creatori di PayPal. Il piano, dettagliatamente spiegato sul sito seasteading.org, è creare città galleggianti in acque internazionali, nazioni start up autogovernate che si possono aggregare e disaggregare spontaneamente.

Tra i tanti problemi affrontati dal Seasteading Institute, i più grandi sono quelli ingegneristici. Come funzionerebbe una città-Stato galleggiante? Cosa berrebbero e mangerebbero i suoi abitanti? E se il mare è mosso? Consulenti sono gli olandesi di Blue21 (gli stessi del padiglione di Rotterdam), che ha progettato le città sul modello delle piattaforme petrolifere. Sarebbero alimentate dall’energia eolica e termica dell’oceano: quest’ultima sfrutta la differenza di temperatura tra la superficie e le profondità, e produce anche acqua potabile. Contano di aprire nel prossimo decennio con l’aiuto del governo della Polinesia Francese. Un migliaio di persone ha già espresso interesse a trasferirsi, nonostante il costo di 15 milioni di dollari per modulo.

Il Seasteading Institute è il progetto che sembra più vicino a una possibile attualizzazione, ma negli ultimi anni tanti hanno provato a concepire città galleggianti. Il designer britannico Phil Pauley ha impiegato vent’anni a progettare la sua: il risultato è SubBiosphere 2, pensata per stare in superficie quando il mare è calmo e per immergersi quando diventa mosso. Più che di una città, però, avrebbe le dimensioni di un piccolo comune montano, visto che può ospitare al massimo un centinaio di persone.

Un altro visionario è l’americano Jacque Fresco, recentemente scomparso (all’età di 101 anni), che aveva progettato una serie di città galleggianti con il look di vere e proprie astronavi. Facevano parte del Venus Project, un centro studi «per combattere la povertà e la guerra». Andando al largo.
di Vincenzo Esposito

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