Sciare in Giappone. Cosa fare e vedere in Hokkaido

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Dal finestrino dell’aereo si ha l’impressione di atterrare in un regno di neve e ghiaccio, come in una favola nordica di Hans Christian Andersen. Questa, del resto, è la “Via per il Mare Settentrionale”. Così si traduce il nome dell’isola più a nord dell’arcipelago. Hokkaido. Il posto migliore dove sciare in Giappone. L’isola nipponica più selvaggia e imprevedibile. Seconda per grandezza, eppure la meno popolata: soltanto 60 abitanti per chilometro quadrato. Una terra singolare e arcana; secondo la mitologia locale, la prima a essere creata, e quella nella quale nacque Arceus, capostipite dei Pokémon.

Il parallelo con il mondo pixellato degli eroi di videogiochi, manga e anime termina però qui. Perché in realtà l’Hokkaido non ha nulla di artificioso e virtuale, anzi: è un’esplosione di natura allo stato primordiale, dove meraviglia e stupore si susseguono a getto continuo. Basta mettere gli sci ai piedi in una delle località più rinomate, Niseko, circa 100 chilometri a ovest dell’aeroporto di New Chitose, ed ecco la prima sorpresa: il punto di partenza dei 30 impianti di risalita si trova quasi a livello del mare e l’arrivo a quota 1.300 metri, sul monte Niseko, un vulcano attivo suddiviso in quattro comprensori sciistici, con 48 chilometri di piste e 18 differenti possibilità di discesa in fuoripista. La vetta è definita “paradiso della powder snow”, la neve polverosa e impalpabile ricercata dagli amanti del freeride. Le numerose tracce lasciate dagli sciatori formano grandi cumuli lungo il pendio, che potrebbero creare qualche preoccupazione; ma, iniziata la discesa, si scopre che gli sci li attraversano come fossero fiocchi di panna montata. Nessuna fatica per le gambe, nessuna torsione delle ginocchia. Solo gioia pura, mentre, tutt’attorno, la neve vola leggera come borotalco. Poi si entra nel bosco per uno slalom fra i rami delle betulle, neanche fosse la taiga siberiana.

IL PARADISO DELLE DISCESE FUORIPISTA

“Il segreto di questa neve unica al mondo è la nostra posizione geografica”, spiega Tomoko Aoki, un manager originario di Tokyo che ha lasciato la metropoli per trasferirsi nel comprensorio sciistico di Rusutsu, a una ventina di chilometri da Niseko. “I venti freddissimi dell’anticiclone siberiano che attraversano il Mar del Giappone  gelano le masse umide così velocemente che i cristalli di neve si riempiono d’aria, prima di essere sospinti sulla costa a scontrarsi con i rilievi montuosi”. Questo spiega perché, grazie al gelo russo, la neve di Niseko e Rusutsu sia la più leggera powder snow al mondo, formata per il 95 per cento d’aria e solo per il cinque per cento d’acqua. Per tutto l’inverno cade con una frequenza di 20-30 centimetri ogni giorno, e dopo ogni nevicata torna immediatamente il sole. La condizione ideale per i freerider giapponesi, coreani, australiani e, ultimamente, anche statunitensi ed europei (gli italiani, però, ancora scarseggiano), che qui trovano fuoripista eccezionali e a scarso rischio valanghe, grazie alle lievi pendenze dei vulcani e alle bassissime temperature, che, da dicembre ad aprile, si mantengono parecchi gradi sotto lo zero.

Come in tutto il Giappone, nell’Hokkaido modernità e tradizione vivono in simbiosi e fra le stazioni sciistiche all’avanguardia sopravvive l’antico spirito animista degli Ainu, popolazione aborigena, in arrivo dall’interno del continente asiatico, che colonizzò la Kamchatka, Sakhalin, le isole Curili e, appunto, l’Hokkaido a partire dal XII secolo a.C. La loro religione della natura adorava entità come il fuoco e animali sacri come l’orso. E contribuì a riempire di kami, gli spiriti che risiedono negli elementi della natura, il pantheon shintoista, e di leggende il territorio della regione. Ha il suo kami anche il vulcano Yotei, 1.898 metri d’altezza, che si ammira dalle 37 piste blu, rosse e nere delle tre montagne gemelle di Rusutsu, e che qui è considerato più sacro del Fuji. Secondo gli Ainu, lo Yotei e il vicino monte Shiribetsu erano marito e moglie e i loro spiriti si incontravano sul Mount East, nel punto dove oggi arriva la cabinovia e dove si trova un torii, il tradizionale portale d’accesso a un’area sacra a cui è appesa una campana da preghiera. C’è chi si ferma per qualche minuto di raccoglimento prima di lanciarsi, sci ai piedi, nelle gole fra i monti, lungo pareti fitte di betulle e un sorprendente sottobosco di bambù, i cui esili steli si piegano sotto il peso della neve come in una stampa di Hokusai, maestro del “mondo fluttuante”.

VULCANI E BAGNI TERMALI

Bizzarrie di un Paese pieno di contrasti. Il Rusutsu Resort oscilla fra sistemazioni elegantemente minimal e soluzioni da parco giochi che sembrano l’esatta copia della Neverland di Michael Jackson. Non è però banale kitsch. È il modo, tutto giapponese, di evadere da una quotidianità di doveri rigidi per ritornare bambini almeno il tempo di una vacanza. Per lo stesso motivo un ristorante di pesce di buon livello, che serve snow crab del Mar del Giappone, squisito granchio dalle zampe lunghe, whelk, grandi conchiglie arrostite, e sashimi di pregiato maguro (tonno), si nasconde dietro l’insegna Oktoberfest e un improbabile arredamento in stile bavarese.

Lasciato il circo bianco dello sci, l’Hokkaido si svela in lunghi trasferimenti ferroviari. Qui lo shinkansen, il treno-proiettile, non è ancora arrivato e si parte soltanto dopo che i binari sono stati liberati dal ghiaccio. La ferrovia percorre la costa orientale, dove la neve imbianca le spiagge sassose che lambiscono il mare. Il cuore selvaggio dell’isola è fatto di ben 60 vulcani e di acque ribollenti che sgorgano dalle viscere della terra: una Jigokudani, ovvero “Valle dell’Inferno”, che si incontra vicino al villaggio termale di Noboribetsu. La si percorre lungo un sentiero che si snoda in mezzo ai boschi sulle pendici della montagna, costeggiato da un torrente d’acqua a 40 gradi in cui i giapponesi fanno estemporanei pediluvi, incuranti della neve che ne ricopre le sponde. Risalire il tracciato sulle passerelle di legno sembra un viaggio al centro della terra, inquietante e meraviglioso insieme, fra grandi laghi vulcanici (come lo Hiyori, che raggiunge i 90 gradi di temperatura), geyser e rigagnoli gialli di zolfo fuso, chiazze rosse ferrose, incrostazioni bianche di calce o verdi di rame.

Pochi chilometri più in alto si ritorna nell’allegria chiassosa degli impianti sciistici di Sanlaiva, gremiti di bambini che imparano a sciare. Ma i salmoni secchi appesi sul terrazzo dello Ski Center ricordano che si sta entrando nell’Hokkaido più estremo: sono, infatti, il pasto per il centinaio di orsi che vivono da queste parti. Questa “infernale” forza della natura alimenta, qui e ovunque nell’isola, centinaia di onsen, le terme giapponesi, dove, divisi per genere, ci si immerge nudi nelle vasche all’aperto circondate da piccoli e deliziosi giardini. E dove, cullati dall’acqua, è facile raggiungere uno stato di profonda rilassatezza che i nipponici chiamano ironicamente yudedako, testualmente “polpo bollito”.

GRU E AQUILE DI MARE

Sono vivi, invece, i polpi e i granchi sui banchi del vivace mercato ittico di Kushiro, città di pescatori sulla costa orientale. Qui sono due le esperienze da non perdere: il tramonto sulla foce dell’omonimo fiume e una cena in un robata, una tipica trattoria dove tutto viene cotto al momento sulla griglia. Lo Shirakaba è un simpatico e minuscolo locale (10 posti al banco) gestito da una vispa vecchietta, Ise Michiko, dalle cui mani escono raffinatezze come la testa di salmone in agrodolce o l’ostrica con tofu e dashi, da gustare con accompagnamento di kukuzkasa, il sakè invernale di Kushiro.

La cittadina è l’avamposto del Kushiro Shitsugen National Park, una vasta area di acquitrini e paludi, rifugio di un migliaio di tancho, le gru giapponesi. Lo si attraversa con una gita in canoa sul fiume Kushiro fino al lago Toro. Nonostante la temperatura estrema, – 25 gradi C, la leggera corrente impedisce alle acque di gelare nella parte centrale dell’alveo, mentre ai lati dell’imbarcazione piccoli cumuli di neve cristallizzata brillano a pelo d’acqua. Sulle rive il silenzio è rotto soltanto dal tonfo di un tronco smosso da un cervo e attraverso l’intreccio dei rami non è raro scorgere l’Aquila di Mare di Steller, fra le più grandi e maestose del pianeta. Poco distante, nella riserva a loro dedicata, le gru si muovono sulle lunghe zampe in una continua danza di corteggiamento, regalando uno spettacolo di grazia assoluta.

In questa parte dell’ Hokkaido la presenza dei vulcani modella un ambiente sorprendente per il trekking con le ciaspole, e, all’interno dell’Akan National Park, regala suggestioni da Grande Nord. Imperdibile, per chi ha fiato sufficiente per quattro ore di salita (non ripida), il giro del cratere più esteso del Giappone fino alla cima del monte Kamui, che sovrasta la caldera in parte occupata dal lago Mashu. In estate le sue acque sono cristalline; in inverno venti forti ne agitano la superficie impedendole di ghiacciare. Il risultato è un paesaggio dall’aspetto misterioso, sottolineato dal meraviglioso anello di monti e vulcani innevati che brillano all’orizzonte a 360 gradi. Sorprendentemente, negli anni Cinquanta questa era una rinomata stazione climatica, come testimoniano poster d’epoca appesi nella vecchia locanda della stazione ferroviaria di Kawayu Onsen, dove vale la pena di fermarsi per degustare l’ottimo stufato.

Meno tecnici, ma immersi nel profumo magico del bosco, sono i percorsi con le ciaspole che si possono seguire intorno al grande lago Kussharo, abitato in inverno da centinaia di cigni, e al lago Akan, la cui superficie gelata all’alba appare punteggiata dai colori vivaci delle tende a igloo degli appassionati di pesca nel ghiaccio. Nei boschi intorno all’Akan può capitare di trovarsi avvolti da una caligine bianca: sono le sorgenti calde del lago che fanno sciogliere il ghiaccio ed evaporare l’acqua.

Lungo le rive dell’Akan si incontra un kotan, villaggio Ainu dove vive una comunità composta da un centinaio di persone (in tutto l’Hokkaido gli Ainu sono 23 mila), che mantengono orgogliosamente vive le proprie tradizioni a dispetto dell’assimilazione forzata cui il regime militare nipponico li sottopose fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Debo, il capo della comunità, vive grazie a un piccolo negozio dove produce gioielli-amuleto di legno e mostra con soddisfazione un teatro battezzato Ikor (tesoro), costruito anche grazie al fatto che, nel 2009, le loro danze sono diventate Patrimonio Immateriale Unesco. Qui si assiste a esibizioni evocative di riti arcaici accompagnate dal tonkori, strumento a corda dal suono primordiale, mentre molte giovani donne cantano e danzano. Fra loro, Goukon Fukiko, che di giorno gestisce la locanda Poronni, un ristoro di frontiera nel cui menu compaiono mefun (pesce fermentato) e una prelibatezza Ainu come “cuore e lingua di orso”.

SHIRETOKO, DOVE LA TERRA FINISCE

Il clima da terra al confine del mondo si accentua mentre si procede ancora più a nord per raggiungere la penisola di Shiretoko, ovvero “dove la terra finisce”. Si protende per 65 chilometri nel mare di Okhotsk, racchiuso fra Giappone e Siberia, totalmente ghiacciato in inverno a causa dello strato d’acqua dolce superficiale proveniente dalla foce del fiume Amur. Nella penisola si trova l’unico Patrimonio Naturale Unesco del Giappone, lo Shiretoko National Park, entrato nella lista grazie alla grande biodiversità. Qui, nella stagione invernale, lo spettacolo è indimenticabile: altissime scogliere rosse e brune che si gettano a picco, con salti fino a 200 metri, in un mare di ghiaccio; pendii bianchi e foreste di conifere dove i cervi intraprendono indisturbati lotte per l’accoppiamento davanti ai pochi visitatori. E, poi, volpi artiche che dormono lungo i sentieri, leoni marini che oziano sulle scogliere, aquile di Steller che volano nel cielo terso, dove il monte Rausu si staglia bianco come una scultura di ghiaccio. Oltre il centro visitatori c’è solo natura allo stato puro: si possono seguire le tracce di sentiero con le ciaspole o fare più strada con la fat bike, senza mai dimenticare che non vi sarà presenza umana per centinaia di chilometri. Un’esperienza da provare è il giro su una nave rompighiaccio in partenza dalla vicina città di Abashiri: viste dal mare le scogliere di Shiretoko e le loro altissime cascate sono impressionanti, mentre lo slittamento dei banchi di ghiaccio, frantumati dalla chiglia della nave, il loro frastuono quando si spaccano e si rivoltano nell’acqua, sanno già di Circolo Polare Artico.

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