A metà pomeriggio se ne vanno nella foresta ad ascoltare il canto di uccelli come il Ducula goliath, il più grande e colorato piccione del mondo. Un rito antico, un momento di contemplazione irrinunciabile per i Kanak, che vivono nella trafficata capitale della Nuova Caledonia, Nouméa, ma anche nei villaggi sperduti di questa terra incastonata tra la Nuova Zelanda e l’Australia. Una Polinesia di 50 anni fa, secondo la National Geographic Society, sfuggita alle multinazionali del turismo. Le Caillou, il Sasso, come gli indigeni organizzati ancora in tribù chiamano la Nuova Caledonia, è un “Jurassic Park” racchiuso tra colline, cascate maestose, da cui si alzano arcobaleni di acqua vaporizzata, e l’immensa laguna color smeraldo, la più bella del pianeta, Patrimonio dell’Umanità Unesco: 23mila chilometri quadrati e una barriera corallina di 1.800 chilometri (la seconda più lunga del mondo, dopo quella australiana). Soprattutto è un paradiso di biodiversità, un’Arca di Noè con più di 3.000 specie endemiche, secondo solo all’Amazzonia.
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NUOVA CALEDONIA: IL CENTRE CULTUREL TIBAJOU
Si gioca alla pétanque, la variante francese delle bocce, si beve pastis e si fa colazione con i croissant nei caffè della capitale, affacciati sulle strade dedicate ad Anatole France o al generale De Gaulle e abitate dai Caldoches, eredi dei primi coloni francesi. Ma nei villaggi affacciati sui giardini pietrificati in fondo al mare, ai bordi degli stagni fioriti di ninfee, sopravvive un mondo fuori dal tempo che crede alla magia dell’igname, la radice sacra, e ai poteri del tarik, il piccolo pacchetto in fibra di cocco intrecciata che tiene lontane le tempeste dai naviganti. Ed è ancora capace di meravigliarsi. La douce France è lontana 17mila chilometri, come ricorda il pannello nel cuore della piazza centrale di Nouméa. Tra le strade a scacchiera del vecchio centro della capitale, la piazza dei Cocotiers e il Quartiere Latino, dietro le verande delle case coloniali si annidano sogni mai spenti, quelli della decolonizzazione e dell’autonomia dalla métropole, come è chiamata Parigi. “I Kanak devono essere invitati al banchetto delle civiltà come uomini liberi”, diceva Jean Marie Tibajou, il celebre leader indipendentista a cui è stato dedicato lo straordinario Centre Culturel, in legno iroko e acciaio, firmato da Renzo Piano e ispirato alle capanne delle tribù caratterizzate dalla flèche faîtière, una lancia di legno intagliato che adorna i tetti intrecciati e che rappresenta il simbolo della cultura Kanak. Il Centre Culturel Tibajou è la tappa irrinunciabile per ammirare i capolavori di un’arte confinata per anni in un lungo purgatorio coloniale e oggi esposta nelle gallerie di Parigi, di Sydney, di New York, che si contendono le sculture in legno di Io Waia e i bambù incisi di Micheline Neporon.
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NUOVA CALEDONIA: LE MERAVIGLIE DELL’ÎLE DES PINS
Europa e mari del Sud convivono tra i locali pieds dans l’eau e i padiglioni che ospitano le bancarelle dai profumi esuberanti del mercato. Affacciato sulla marina, il ristorante Blinz delizia i palati con tartare di spada al frutto della passione, bougna marinaro, uno stufato, mahi mahi, un pesce locale, alle spezie.
Ormeggiate nel porto, ecco le barche corrose dalla salsedine di skipper vagabondi, gli Ulisse del terzo millennio che fanno tappa qui dopo anni di navigazione nel Pacifico. Come Marco Iazzetta, tecnico federale della squadra olimpica italiana di vela, incantato dalle centinaia di atolli deserti, dall’acqua piatta e dai 25 nodi di vento. Ma anche dal modo di vivere il mare, easy, familiare come un vecchio amico. Il suo luogo del cuore? L’atollo di Nokanhui, una striscia di sabbia bianco smagliante, al largo dell’Île des Pins.
Da questo piccolo paradiso nel cuore del mar dei Coralli, a cavallo del tropico del Capricorno, dove si atterra in una ventina di minuti di volo dalla capitale, può cominciare la scoperta del continente in miniatura. L’avamposto è l’hotel Méridien Île des Pins, che organizza escursioni in laguna a bordo di barche attrezzate per snorkeling e immersioni sul fondale di dieci metri, un acquario tropicale popolato di pesci luna e gorgonie rosse. Imperdibili le isolette di Nokanhui e Brousse, dove si banchetta sotto gli alberi gustando le saporite aragoste. L’unica traccia sulla sabbia immacolata è quella del celebre tricot rayé, serpentello velenoso come un cobra che esplora il mare e le spiagge alla ricerca di prede, ma fugge davanti all’uomo. A pochi minuti dall’hotel, tra bananeti, orchidee, sorgenti, si nasconde la piscina naturale della Baie d’Oro, specchio di mare turchese racchiuso in un triangolo di sabbia bianchissima. A Kanunera capita di nuotare con i delfini; a Kuto, o nella scenografica baia di Upi, l’acqua è così chiara che si distingue la chiglia dei velieri all’ancora, sospesi nell’azzurro. Si specchiano in mare i pini colonnari che hanno dato il nome all’isola. Tanto alti e scuri che i primi scienziati, arrivati con James Cook nel 1774, li avevano scambiati per colonne di basalto. In meno di un’ora si raggiunge la cima del Pic N’Ga, da cui si abbraccia l’intera isola.
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NUOVA CALEDONIA: ALLA SCOPERTA DELL’ATOLLO DI OUVÉA
È un sogno azzurro anche Ouvéa, la più a nord delle îles Loyauté, le isole della Lealtà, con i 25 chilometri della spiaggia di Fayaoué, bianco smagliante. Più di 5.000 specie marine popolano la Grande Laguna sud, dove si riproducono le balene. Nessuna antiestetica costruzione disturba il paesaggio, quintessenza dei Mari del Sud, tra le spettacolari falesie di Lékine e la spiaggia di Mouli, fotografata come una modella di Vogue. Tutto merito dei Kanak, ecologisti convinti, che da sempre si battono contro ogni lottizzazione.
Una sola strada attraversa il minuscolo atollo nel quale vivono solo 4.000 persone. Un paesaggio degno di Gauguin, dove scultori sotto gli alberi intagliano statue in legno; le donne intrecciano le foglie di palme per farne borse e cappelli o danno la caccia ai prelibati granchi delle mangrovie; gli uomini, immersi fino alla vita nell’acqua cristallina, lanciano verso il mare, con un ampio gesto, gli sparvieri, le reti circolari, perpetuando una pesca antica che porta abbondanti bottini. All’estremo sud, si fanno perdere le tracce in uno dei bungalow a pochi metri dal mare del Paradis d’Ouvéa, l’unico hotel dell’isola, con gli interni firmati dallo stilista giapponese Yohji Yamamoto.
IL FAR WEST DELLA GRANDE TERRE
L’immensa laguna non è l’unica attrazione. A Grande Terre, selvaggio Far West, tra colline e praterie di niaouli, pianta da cui si ricava un olio balsamico, vivono come cowboy i broussard, nipoti dei primi coloni: cappelli Stetson in testa e stivali alla John Wayne, si dividono tra la cura delle mandrie di bestiame e i rodei a cui partecipano numerose donne con la camicia a scacchi. Come Cindy Baronnet, ex miss Nuova Caledonia, che nella Ferme Nemeara, ranch costruito nel 1885 dai forzati, organizza escursioni a cavallo. Si monta in sella, si avanza nella giungla popolata di cervi, con pranzo finale attorno al rudimentale forno kanak, seduti su pouf di paglia e foglie di palma, sotto l’immenso banyan tree assaggiando il bougna, il piatto tradizionale, uno stufato di carne o pesce, tuberi marinati con latte di cocco, cotto per ore sulle pietre ardenti. Un menu apprezzato dallo staff dell’edizione australiana di Masterchef, che ha organizzato qui una puntata.
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NUOVA CALEDONIA, TRA CANYON E TESORI SOTTOMARINI
Batte a oriente di Grande Terre il cuore kanak, oltre l’ardita strada Rnp2 che scende, fra palme del viaggiatore, flamboyant e felci giganti, fra i villaggi e i picchi carsici che ricordano Moorea, fino a Poindimié. Il profilo stravagante della Poule Pondeuse, una grande roccia a forma di chioccia (da qui il nome), appare all’improvviso lungo la strada per Henghiène, tra sfilate di macadamia, manghi e papaye. La Baie des Tortues, dove depongono le uova le tartarughe, con la possente scogliera della Roche Percée e il Bonhomme, alto monolito scolpito dalle onde, è un angolo di natura selvaggia. Lungo iI reef attorno a Poindimié, negli spot come Tibarama, Val d’Isère, Monte Cristo, l’Arche, seguendo i sub dell’Aqualagoon, il centro d’immersioni, si scende lungo pareti ripide, tra archi e canyon tappezzati da splendide gorgonie variopinte, per incontri ravvicinati con cavallucci marini pigmeo, pesci ago fantasma, mante, squali grigi e martello.
Sono nel Grand Sud, a un paio d’ore d’auto da Nouméa, i paesaggi più grandiosi e spettacolari. Con veicoli 4×4 si raggiungono le cascate della Madeleine, il lago di Yaté, dove nelle notti di luna piena gli indigeni navigano in canoa nelle acque scure. Le rocce sembrano torri, templi, statue di divinità crudeli. I colori sono violenti, metallici come il fuoco da cui ebbero origine: il granata rivela il ferro, il giallo le vene sulfuree, il verde livido tradisce il nichel; le Roi Nick, come viene chiamato in questo Paese, uno dei cinque maggiori produttori mondiali, al centro di battaglie ecologiste.
Tracce di piste portano verso miniere e villaggi, tra nuvole di terra che penetra dappertutto. Nella baia di Prony va in scena lo spettacolo delle megattere che ogni anno, tra luglio e settembre, vengono qui a riprodursi. La strada si insinua nel Parco della Rivière Bleue fra cascate, laghetti dalle rive di terra rossa e cespugli porpora della Captaincookia margaretae, che si arrampicano su esili steli fino a tre metri di altezza.
In mezzo al nulla, nella baia Port Boisé, ci si rifugia nel fascinoso Kanua Tera Ecolodge, con i bungalow in riva al mare ispirati a un villaggio tradizionale dove si pranza sotto il possente banyan tree, prima di concedersi una passeggiata nella Riserva naturale Cap N’Doa. E lasciarsi incantare dal suono degli uccelli. Come fanno, da secoli, i Kanak.
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