I sogni iniziano all’alba nell’arcipelago di Bacuit. Quando il sole si alza e, come per magia, disegna sull’orizzonte misteriose silhouette. Sono torri carsiche dalle pareti ripide ricoperte di vegetazione tropicale, sentinelle millenarie che presidiano un tesoro prezioso: un tratto di mare immobile e trasparente, dalle mille sfumature di verde e blu, appena increspato dalle linee lasciate dalle bangka, le tradizionali, esili barche a vela, con bilanciere, dei pescatori locali.
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NELL’ARCIPELAGO DI BACUIT: IN BARCA A PALAWAN
Un angolo sconosciuto e senza nome, come molti altri, nell’arcipelago di Bacuit, bizzarria carsica composta da una miriade di isole che ha pochi eguali nel pianeta e che assomiglia vagamente alla spettacolare e più nota baia di Halong, in Vietnam. Un universo di picchi verdissimi e acque cristalline, perduto nell’estremo nord dell’isola di Palawan, nelle Filippine, considerata una delle meraviglie naturalistiche dell’Asia.
“La giornata qui indossa abiti dai colori sempre diversi: rosa all’alba, blu nel pomeriggio, rosso la sera”, spiega la guida Alejandro Paras, 36 anni, mentre sale sulla sua bangka e si prepara a lasciare il piccolo molo. “Partiamo così presto proprio per vivere appieno le infinite sfumature, che cambiano continuamente con il passare delle ore. E per godere fino in fondo di un mondo fuori dal mondo, fatto solo dei silenzi e degli spettacoli della natura”.
Mezz’ora, un’ora di barca, forse due. Il tempo sembra essersi fermato mentre si scivola accanto ai pinnacoli imponenti che si innalzano dal mare. Il rosa cede gradatamente il posto al blu del cielo e dell’acqua, che diventa cristallina quando la bangka scorre leggera sopra i fondali di sabbia bianchissima e arriva lì, dove Paras vuole sbarcare.
Il paradiso è racchiuso tutto qui, in un tratto di mare. È un gigantesco acquario naturale, con miriadi di pesci che nuotano sul fondo e i coralli a fare da quinta. Blu che si declina in verde e poi in smeraldo, quando ci si avvicina alle rigogliose rive scoscese che si rispecchiano vanitose sulla superficie liquida. Scivolando silenziosi su un’acqua talmente trasparente che pare di essere sospesi, si approda su una spiaggia deserta, ombreggiata da una corona di palme. Per raggiungere la riva, i piedi affondano nella sabbia bianca: non è che un finissimo letto di coralli mescolato alle onde. La sorpresa? Sedie a sdraio e asciugamani, oltre a kayak, maschere e pinne per lo snorkeling. Paras ha pensato a tutto per garantire una sosta confortevole. In un cesto, viveri e bevande. La griglia è pronta per cuocere pesci e verdure. Sarà un dolce naufragio, sperduti in un angolo di blu.
Grande come la Campania, Palawan, scoperta nel 1521 da Ferdinando Magellano, che la chiamò Pulaoan, è la più estesa delle Filippine (l’arcipelago è composto da 7.107 isole), ed è un concentrato di bellezze naturali e di luoghi sorprendenti. Acque trasparenti lambiscono baie di sabbia equamente divise tra il Mar Cinese Meridionale e il Mare di Sulu, con una corona di migliaia di isole che si sfrangia lungo le sue coste.
Palawan è un’ultima frontiera, un territorio ancora vergine e selvaggio, anche se, negli ultimi anni, il turismo sta progressivamente cambiando il volto delle località più frequentate. Il capoluogo – e base di partenza – Puerto Princesa, anche se fa professione di essere una delle città filippine più rispettose del verde, con i suoi 200 mila abitanti è cresciuta troppo in fretta e non ha nulla di interessante da mostrare al visitatore. Soprattutto perché basta allontanarsi di pochi chilometri dal centro per ritrovarsi in un mondo rurale dove la natura è ancora padrona.
Attenzione però: se si decide di andare alla scoperta delle meraviglie più vicine alla città, l’arcipelago di Honda Bay, si rischia di trovarsi in mezzo a frotte di visitatori. A bordo di piccoli traghetti si naviga tra manciate di terra simili ad atolli, sabbia bianchissima e palme che si piegano sul mare. E in una giornata si visitano tre isole: Crowie, Lula e Snake. Folla a parte, è comunque un primo, gustosissimo assaggio del paradiso che attende più a nord.
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ARCIPELAGO DI BACUIT: SABANG E IL FIUME SOTTERRANEO
A meno di un’ora di auto da Puerto Princesa, il villaggio sul mare di Sabang è la prima di queste sorprese. Qui bisogna assolutamente prendere tempo e andare con calma. Si rimane a bocca aperta quando ci si affaccia sulla grande baia ombreggiata da palme e incorniciata da imponenti montagne ricoperte di lussureggiante vegetazione tropicale. Giganti che sono già il preambolo del mondo carsico che attende dietro l’angolo. E che testimoniano come a Palawan sia stata la sua ardita geologia a plasmare meraviglie naturali così uniche.
Qui l’acqua che si è infiltrata nelle rocce calcaree ha divorato la terra. Pioggia e mare sono entrati nelle fratture in profondità, scavando, rosicchiando, allargando le crepe, creando grotte e cunicoli. Così si è formato l’incredibile Fiume Sotterraneo (oggi parco nazionale), che sfocia proprio a Sabang e che è stato inserito tra le sette meraviglie naturali del pianeta: 35 chilometri di lunghezza, con un estuario sotterraneo che si getta in mare da una spaccatura nella montagna, proprio a ridosso della spiaggia. Il fiume non è solo un incanto dal punto di vista speleologico: all’interno vivono numerosissime colonie di uccelli.
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PORT BARTON: LA SPIAGGIA INFINITA
Continuando verso nord, la costa occidentale è impreziosita da baie e litorali con vista sulle isole che si stagliano al largo e sugli allevamenti di ostriche da perla, una delle attività più fiorenti della popolazione locale. Il villaggio di Port Barton vanta una spiaggia di 14 chilometri, con una sabbia candida e finissima, purtroppo minacciata da progetti immobiliari. La speranza è che non spunti un’altra copia di El Nido, celebre ed esclusiva meta turistica sulla punta settentrionale di Palawan. Una cittadina dove gli estremi si sono toccati e lo strazio di cemento ha purtroppo invaso il cuore del vecchio borgo di pescatori, racchiuso in un eccelso palcoscenico naturale. Fino a qualche decina di anni fa era un luogo da sogno. Ma resta una meraviglia: i monti abbracciano la baia dalle pareti di roccia a strapiombo, mentre sul mare si impone la sagoma dell’isola di Cadlao. Ancora una volta la regia è del carsismo, che ha saputo creare un favoloso angolo di mondo.
Altrettanto incomparabile è ciò che aspetta il visitatore che lascia il trafficato porticciolo di El Nido per arrivare nelle acque dell’arcipelago di Bacuit. In un’ora di navigazione si raggiunge l’isola di Miniloc, punto ideale da cui partire ogni giorno alla scoperta di angoli sempre nuovi all’interno dell’arcipelago. Per farsi trasportare, di atollo in atollo, in un ininterrotto sogno marino: si trova sempre qualche specchio blu per lo snorkeling, per le immersioni o, semplicemente, per un tuffo.
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ARCIPELAGO DI BACUIT: SNORKELING E E TREKKING NELLA GIUNGLA
A piedi da Miniloc, quando c’è la bassa marea, si può raggiungere la Big Lagoon, un lago marino dalle acque cristalline. Con il kayak si penetra invece in un pertugio di roccia per sbucare nella Small Lagoon, una piscina racchiusa tra alte pareti rocciose. La Secret Lagoon è un vasto catino nel quale si entra strisciando lungo un passaggio scavato dalle onde. Come nella Cudugnon Cave: ci si infila in una piccola grotta per comparire in un’altra enorme caverna dal soffitto collassato che lascia vedere il blu del cielo. La Cathedral Cave è invece scavata nella parete di un isolotto e si spalanca verso il mare. Le stalattiti assomigliano a colonne che reggono la volta lisciata dal vento che entra con forza in questa architettura naturale.
Snake Island si raggiunge invece in mezz’ora di barca. Qui, con una passeggiata facile, si arriva sulla cima della sua parete rocciosa, che si alza sul mare e permette una delle viste più spettacolari sull’intero arcipelago di Bacuit. E poi le isole di Entalula e Shimizu, dove ci si immerge con le bombole; Lagen, dove si fa trekking lungo i ripidi sentieri ricavati nella giungla; Mantinloc, dove si percorre a nuoto lo stretto di Tapiutan, tra una miriade di pesci, sfiorando la barriera corallina.
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