Dalla contemplazione della luce che filtra tra le foglie dei rami alla frenesia collettiva nell’attraversare l’incrocio più trafficato al mondo. La sorprendente capitale nippoca è un concentrato di esperienze inconsuete, ancora quasi sconosciute al turismo di massa. Per sperimentarle, ecco una guida a Tokyo in 10 parole chiave.
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1. KOMOREBI
La più famosa è sicuramente l’Hanami, tradizionale usanza giapponese che consiste nell’ammirare estasiati la scenografica fioritura dei ciliegi con i loro caratteristici boccioli dalle sfumature rosa, chiamata sakura. Ma quando si parla di contemplazione, la millenaria cultura nipponica include molte altre esperienze, meno conosciute in occidente ma altrettanto spettacolari e ben radicate nella tradizione locale, godibili poi, non solo in primavera, ma in tutti periodi dell’anno. A partire dal Komorebi, termine intradubicile con una sola parola italiana, che letteralmente indica “la luce filtrata dalle foglie degli alberi”. Un rituale, quello di ammirare col naso all’insù le infinite tonalità di colore dello spettro solare che sbucano tra i rami, praticato abitualmente da tutti gli abitanti. Tra i tanti i parchi urbani disseminati nella capitale giapponese, dove sperimentare questa pratica poetica e millenaria, spicca il Gyoen National Garden (11 Naitomachi, Shinjuku, Tokyo) nel quartiere centrale di Shinjuku. Un’oasi di pace, con oltre 20.000 alberi, appartenuta nel periodo Edo (1603-1868) alla facoltosa famiglia Naido.
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2. NATSUKASHII
L’equivalente giapponese della francese “madeleine”, golosità celebrata da Marcel Proust nel romanzo Dalla parte di Swan – diventata espressione di uso comune per indicare un piacevole ricordo rievocato da un aroma – è il termine Natsukashii, traducibile come “l’istante in cui la memoria rievoca un bel ricordo che riempie di dolcezza” o, più brevemente, “nostalgia felice”. Ed è proprio questa la definizione che gli abitanti del Sol Levante attribuiscono all’antico quartiere di Asakusa (fermata metro Asakusa, linee Ginza e Toei-Asakusa), nella zona nord-ovest di Tokyo, dove i rumori dei tradizionali tamburi (taiko) e l’aroma dei dolcetti cotti al vapore – ripieni di soia e matcha the – pervadono stretti vicoli senza soluzione di continuità. Ancora oggi, tra queste stradine, vige la tradizione – anche tra le nuove generazioni – di raggiungere il famoso tempio buddhista Senso-Ji, il più celebre di Tokyo, avvolti da impeccabili kimono.
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3. KAISEKI
Sushi, sashimi, wasabi e salsa di soia. La cucina giapponese (washoku), nominata dall’Unesco Patrimonio intangibile dell’umanità, offre molto di più degli occidentali “all-you-can-eat” a base di rotolini di alga e pesce crudo. Il trionfo dell’arte culinaria nipponica si chiama Kaiseki e consiste in un pasto dove la preparazione degli ingredienti, l’impiattamento, la disposizione del tavolo e quella dei commensali sono studiati nei minimi dettagli. Nato anticamente per accompagnare la tradizionale cerimonia del tè, il Kaiseki oggi è consumato nelle occasioni più importanti e formali, dalle cene di affari a quelle per celebrare anniversari o compleanni. Non è prevista una portata principale ma tanti piccoli assaggi, dalla forma scultorea, disposti artisticamente su un vassoio e in colorate ciotole di preziosa ceramica. Il menu? Quasi sempre a discrezione dello chef, ma il banchetto prevede rigorosamente un piatto crudo, uno cotto al vapore, uno a fuoco lento, l’altro grigliato. Un’esperienza da provare, almeno una volta nella vita, nel ristorante RyuGin (7-17-24 Eisu Building) – dove ai fornelli c’è lo chef Seiji Yamamoto – nel cuore del vivace quartiere collinare di Roppongi.
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4. ODORI
Letteralmente significa “danza” ed è associato, come suffisso, ai balli tradizionali (es. Bon Odori, danza per celebrare i morti). Oggi il termine “Odori”, in versione 2.0, è diventato invece sinonimo di frenesia collettiva, come quella che si respira nelle grandi metropoli a stelle e strisce durante il famoso “Black Friday”, o l’incessante via-vai osservabile ogni giorno attraversando a piedi l’incrocio più famoso di Tokyo, all’uscita della stazione metropolitana Shibuya (linea JR Yamanote, stazione di Shibuya, uscita Hachiko). “La mischia”, così lo chiamano affettuosamente i giapponesi, è percorso contemporaneamente, nelle ore di punta, da circa 3.000 persone al minuto, illuminate dai maxi schermo a Led che campeggiano sui grattacieli circostanti, proiettando incessantemente video e pubblicità. Raggiungere il marciapiede opposto è per un turista l’esperienza più simile all’Odori. La vista migliore, per portarsi a casa uno scatto, è dalle grandi vetrate posizionate strategicamente al primo piano della metropolitana.
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5. KAWAII
Non equivale solamente a “cool”, nemmeno a “grazioso”, “divertente” o “tenero”, ma il suo significato è un insieme di tutti e quattro gli aggettivi, spesso con l’aggiunta di una “spolverata” di kitch in salsa nipponica. Il risultato è kawaii, uno dei termini giapponesi, più utilizzati oggi, non solo dai millenials o dalle nuove generazioni. Per captarne l’essenza basta attraversare Takeshita Dori (Chome, 13-17, Shibuya, fermata metro Harajuku), arteria dello shopping punteggiata da colorate boutique che espongono su strada t-shirt a stampa orsacchiotto, cartoni animati e manga, borsette di paillettes, estrose calzature dalle zeppe esagerate e vestitini da collegiale. Presa d’assalto nei weekend da teenager e turisti, quest’iperbolica strada è un microcosmo dove lo “struscio” è generalmente accompagnato da vaporosi milkshake dai gusti impensabili, soffici spiedini di caramelle gommose e profumate torte “take away” che sfidano la forza di gravità, definibili, senz’ombra di dubbio, kawaii.
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6. CHA NO YU
Pochi viaggiatori ne conoscono il nome giapponese, pur essendo una delle esperienze imperdibili per chi fa tappa nella capitale nipponica. “Cha No Yu” (lett. “acqua calda per il tè”) è un condensato di cultura zen, un rituale codificato e rimasto immutato fin dal XVI secolo. Dalla gestualità – lenta, ponderata, reiterata ogni volta alla perfezione – alla classica posizione inginocchiata durante il rito, chiamata seiza, fino alla collocazione del bollitore dell’acqua che cambia addirittura in base alle stagioni: in una buca ricavata nel tatami, in inverno e autunno, inserito su un braciere appoggiato sul tatami in primavera ed estate. Non in tutte le camere poi, è possibile celebrare una cerimonia del tè, il rituale prevede che l’ospite entri nella stanza attraversando una piccola porta in modo da essere obbligato a inchinarsi, in segno di umiltà. È possibile assaporare una ciotola di the – in genere viene servito il verdissimo matcha – partecipando al Cha No Yu, in tutte le tradizionali tea house disseminate un po’ ovunque nella capitale, ma tra le più antiche è sicuramente da provare la Nakajima No Ochaya (1-1Hama-rikyu-teien, Chuo-ku), elegante locale del 1704 circondato da un rigoglioso giardino.
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7. WABI-SABI
Molti ne hanno sentito parlare, in pochi – inclusi molti giapponesi – riescono a darne una definizione univoca, vista la complessità e la varietà di sfumature che può assumere questa affascinante visione estetica, fondata su tre semplici assiomi: “nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto”. Vivere un’ esperienza in perfetto stile Wabi-Sabi è più facile di quel che sembra: basta osservare un vaso rotto, ricomposto semplicemente con della colla, ammirare la caducità di una pianta fiorita, bere una tazza di tè in una ciotola di ceramica. Anche il Cha no Yu, la cerimonia del tè, rientra infatti tra i rituali inseriti all’interno del macrocosmo Wabi-Sabi, così come l’Ikebana, ovvero l’arte della composizione floreale. Per conoscere la storia e addentrarsi nei meandri dell’universo Wabi-Sabi, c’è la vasta collezione permenente di utensili e creazioni artistiche ospitate all’interno del Nezu Museum, spazio espositivo nel cuore pulsante del distretto di Minato.
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8. KIBUN TENKAN
Sfatiamo un luogo comune: anche gli instancabili lavoratori giapponesi, ogni tanto, “staccano la spina” e, quando lo fanno, usano l’espressione Kibun Tenkan, che equivale letteralmente al “cambiamento di umore” ( kibun – sensazione, tenkan – cambiamento). Dopo la stanchezza di una lunga giornata in ufficio, due sono le pratiche predilette dagli abitanti della città: uscire a cena con i colleghi oppure rilassarsi in una delle tante stazioni termali presenti nell’isola nipponica. Un rituale, quello di immergersi rigorosamente nudi nell’acqua calda – per gli standart occidentali, la temperatura è definibile “quasi bollente” – talmente radicato da attrarre ogni anno più di 130 milioni di persone. Basti pensare che i complessi termali sono oltre 3.000, cui si aggiungono le 6.740 strutture pubbliche disseminate in tutto il Paese. Persino la caotica e perennemente indaffarata Tokyo offre splendidi edifici nel cuore brulicante della città, dove concedersi un’ora di relax e riacquistare il buonumore. Da segnalare, tra i resort termali più scenografici, il Tokyo Somei Onsen Sakura (5-4-24 Komagome, Toshima-ku), oasi di pace nell’affaccendata zona commerciale di Sugamo.
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9. NIHONSHU
Siamo abituati a chiamarlo comunemente (ed impropriamente ) sakè, termine con il quale, invece, i giapponesi indicano qualsiasi drink alcolico, vino e whisky inclusi. Per ordinare, dunque, la celebre bevanda a base di acqua e riso fermentato sarebbe più appropriato utilizzare la parola Nihonshu, letteralmente “vino di riso”. Accantonando dettagli e vizi di forma, il millenario elisir – usato a goccie sul corpo dalle Geishe, per aumentare la morbidezza della pelle – è da sempre nell’immaginario collettivo, uno dei simboli più noti del Sol Levante. Un’esperienza da provare, magari visitando, con una gita fuori porta, alcune delle più note aziende artigianali, ubicate ai piedi del Monte Fuji, dove l’acqua purissima e povera di sali minerali, viene convertita ogni anno nel miglior Nihonshu della regione. Da provare Ozawa Brewery (2-770 Sawai, Ome‐City, Tokyo).
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10. OMOTENASHI
Spesso tradotto con il termine italiano “ospitalità”, l’Omotenashi (lett. omote facciata, nashi senza) è un concetto molto complesso, più simile a una filosofia di vita che non alla semplice accoglienza o cortesia nei confronti dell’ospite. La ricerca di armonia in ogni gesto dedicato alla clientela, la capacità di prevedere e intuire le esigenze altrui, ma soprattutto l’abilità nel comprendere gli interessi e la sensibilità di chi ci sta accanto, sono tutti aspetti che gli abitanti del Sol Levante applicano quotidianamente e in modo disinteressato. È questa la sensazione che accoglie viaggiatori e turisti varcando la soglia delle grandi catene dell’hotellerie di lusso, come il Keio Plaza Hotel, elegante e raffinata struttura, posizionata strategicamente nel vivace quartiere di Shinjuku. Non un semplice albergo ma un luogo studiato nei minimi dettagli per far provare agli ospiti le più autentiche esperienze giapponesi, dalla cucina Kaiseki al Cha No Yu, dai workshop di Ikebana, alle gite fuori porta per visitare le fabbriche di Nihonshu ai piedi del monte Fuji. Celebre in tutto il mondo per le sue ampie stanze a tema Hello Kitty – l’iconica gattina col fiocchetto – dedicate alla famiglie che viaggiano con i bimbi, il Keio Plaza Hotel ha recentemente ristrutturato i suoi ambienti, mettendo a disposizione della clientela una nuova e lussuosa area denominata “Premier Grand” con ariose stanze, dotate di immense vetrate affacciate sullo scenografico skyline della capitale nipponica. Per anticipare le esigenze e i gusti degli ospiti, soprattutto quelli con poco tempo a disposizione, l’hotel allestisce ogni mese nelle sue ampie hall mostre ed eventi culturali come le esposizioni di antichi ventagli giapponesi o dei preziosi kimono realizzati e dipinti a mano dall’artista nipponico Itchiku Kubota. Fiore all’occhiello della struttura, la nuova lounge Club Floor posizionata all’ultimo piano dove ammirare l’inconfondibile silhouette del monte Fuji che svetta tra i grattacieli della città.
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