Dove finisce il Danubio?

Il racconto del nostro viaggiatore Piero Maderna: 
Viaggio nel Delta del Grande Fiume, patrimonio dell’umanità e riserva della biosfera, un ambiente al tempo stesso meraviglioso e inospitale, dove tutti sono stranieri e nessuno è straniero, dove la biodiversità è enorme per tutte le specie, compresa quella umana.

Dove finisce il Danubio? In questo incessante finire non c’è una fine, c’è solo un verbo all’infinito presente. I rami del fiume se ne vanno ognuno per conto proprio, si emancipano dall’imperiosa unità-identità, muoiono quando gli pare, uno un po’ prima e uno un po’ dopo, come il cuore, le unghie o i capelli che il certificato di morte scioglie dal vincolo di reciproca fedeltà. Il filosofo avrebbe difficoltà, in questo intrico, a puntare il dito per indicare il Danubio, la sua precisa ostensione diverrebbe un incerto gesto circolare, vagamente ecumenico, perché il Danubio è dappertutto e anche la sua fine è dovunque in ognuno dei 4300 chilometri quadrati del Delta.
(C. Magris – Danubio)

Dove finisce il Danubio? Se lo chiedeva anche Claudio Magris una trentina d’anni fa. Ho iniziato con una sua citazione non per caso, ma perché il suo libro è stato per me la guida fondamentale nella marcia di avvicinamento a questo viaggio. Non potevo partire senza averlo metabolizzato. Lo citerò spesso, perché non avrebbe senso cercare altre parole quando le sue esprimono già in maniera così piena e completa i pensieri e le sensazioni che questo viaggio può far nascere.

Primo giorno: Nel quale parte il nuovo viaggio danubiano

Anche quest’anno solcheremo il Danubio. Ma non sarà sicuramente lo stesso fiume. Non solo perché, come diceva Eraclito, non ci si può mai bagnare due volte nello stesso fiume, ma anche perché il tratto di fiume che solcheremo sarà diverso, sarà quello più a valle, quello che scorre in Romania fino a sfociare nel Mar Nero, al confine con l’Ucraina.
O forse sì invece, forse sarà lo stesso fiume. Magris dice che forse Eraclito ha torto, ci si bagna sempre nello stesso fiume, nel medesimo infinito presente del suo fluire, e ogni volta l’acqua è più tersa e profonda. Scendere la china verso il Mar Nero, accettare la corrente, giocare con i suoi gorghi e le sue increspature, con le pieghe ch’essa disegna sull’acqua e sul viso. Sarà proprio questo che faremo, e così lo potremo sperimentare direttamente. Leggi di più >>

Secondo giorno: Nel quale scopriamo la Parigi dei Balcani con una guida piuttosto originale ed entriamo in contatto con gli indignados romeni

Dopo la piccola “anteprima” di ieri, Bucarest ci accoglie, purtroppo, con una giornata di pioggia. Lo sapevamo, le previsioni per i primi due giorni erano decisamente orientate al brutto. Ma c’è sempre la speranza che siano sbagliate, e invece… così, a colazione, affiorano i primi malumori legati al meteo.

Il fatto è che oggi dovremmo visitare la città, e ci spiace doverlo fare magari in maniera un po’ limitata. Anche perché, secondo i racconti del primo gruppo di viaggiatori che ci ha preceduto, Bucarest ha riservato sorprese. Almeno rispetto alla grigia immagine stereotipata che generalmente se ne ha.
Del resto, anche Magris parla di Bucarest come della Parigi dei Balcani, a parte l’economia di energia elettrica che la sera non la rende una Ville Lumière (ma lui parla della Bucarest del 1986, dove sicuramente questo aspetto risaltava molto). E scrive anche che Bucarest, certo, non è solo città di folla e di bazar, ma anche di grandi spazi ariosi e signorili, parchi verdi e boulevards che portano a laghi appartati, ville ottocentesche e residenze fin de siècle della Lupescu, la famosa amante del re, palazzi neoclassici ed edifici staliniani. È una vera capitale; ne ha il respiro, la vastità, il maestoso e noncurante spreco di spazio. Leggi di più >>

Terzo giorno: Nel quale, in un paese che si chiama Greci, conosciamo una comunità di italiani e balliamo al ritmo di una band di turchi

Partiamo subito dopo colazione in direzione del Danubio: i chilometri che ci aspettano non sono pochi. Bucarest ci ha sicuramente incuriosito, ma è ora di dirigerci verso quella che è la vera meta del nostro viaggio: il Grande Fiume. Andiamo prima in direzione est, poi a un certo punto piegheremo a nord, tenendoci per ora a distanza dal fiume, che passa a Cernavoda sotto quello che fino a poco tempo fa era l’unico ponte sul Danubio in territorio romeno.
Il paesaggio è abbastanza monotono, e così Eugenio per aiutarci ad ingannare il tempo inizia a raccontare. Racconta dei cardi del Baragan, la steppa romena. E racconta di antichi popoli come gli sciti, che abitavano queste terre quando un po’ più a sud, su un altro mare, le civiltà ellenistiche fiorivano e inventavano quella cosa che, da allora in poi, abbiamo chiamato democrazia. La regione che attraversiamo, la Dobrugia, si chiamava allora Scizia Minore. È allora che nasce la storica contrapposizione tra civiltà e barbarie: i greci, stanziali, rappresentavano la civiltà e gli sciti, nomadi, la barbarie o quella che era vista come tale con gli occhi dei greci e, più tardi, dei romani.
Non dimentichiamo che da qui, secondo il mito, gli argonauti passarono tornando dal viaggio alla ricerca del vello d’oro nella barbara Colchide. Inseguiti dalle galere di Eete, navigarono attorno al Mar Nero nel senso contrario al giro del sole. Una delle versioni riporta che, quando Eete raggiunse Giasone ed i compagni alla foce del Danubio, Medea prese il piccolo Apsirto, il fratellastro che aveva portato come ostaggio, e lo fece a pezzi, gettandone i pezzi in mare. Eete, inorridito di fronte a tale orrore, costrinse le navi inseguitrici a fermarsi presso Tomi (oggi Costanza, sul Mar Nero, un po’ più a sud del Delta) per recuperare i brandelli del figlio dilaniato. Secondo altri autori, invece, Giasone riuscì ad uccidere anche Eete. Leggi di più >>

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