Catalogna, la legge delle tre C

Chissà quali pensieri passavano per la testa di Josep Raventós quando nella seconda metà dell’Ottocento visitò la terra dello Champagne per scoprire quel vino frizzante di cui si parlava tanto all’epoca: le bollicine gli piacquero al punto che decise di importare per primo il metodo champenoise in Spagna. In effetti, la Catalogna, in particolare la regione del Penedès, era perfetta per aprire un nuovo mercato, con quel clima temperato, il sole e qualche scroscio di pioggia.

Decise inoltre di usare solo vitigni autoctoni come il Macabeo, il Parellada, lo Xarel-lo. Ed è così che l’azienda più antica della penisola iberica, e una delle più antiche del mondo, divenne il principale produttore di cava, nonché fornitore ufficiale della famiglia reale. Del resto, troviamo spesso una delle loro bottiglie – si parla di circa 45 milioni –, prodotte insieme a marchi come Freixenet e Torres, sulle tavole degli spagnoli per brindare con il rito delle 12 uve a Capodanno, durante le campanadas, i 12 rintocchi scanditi dalle campane della plaza de la Puerta del Sol a Madrid.

Il cava sta agli spagnoli come lo champagne sta ai francesi, e i produttori hanno trasformato le loro aziende in luoghi da visitare. Poco alla volta, in punta di piedi, perché, come si dice da queste parti, «chi tiene la bocca chiusa non piglia mosche».
Per arrivarci, una volta atterrati a Barcellona basta guidare per meno di un’ora a ovest per ritrovarsi in un’area di 30 chilometri quadrati con oltre 250 bodegas. Un luogo emblematico è Sant Sadurní d’Anoia, dove c’è Codorníu. Degustazioni (con moderazione), nella «cattedrale enologica»: la sala principale è opera di Josep Puig i Cadafalch, allievo di Antoni Gaudí, maestro del modernismo, all’inizio del Novecento. Una sorta di tempio riconosciuto patrimonio artistico di Spagna dal 1976, che nei sotterranei ospita oltre 30 chilometri di cantine.

Per un’esperienza da puristi, all’hotel Mastinell a Vilafranca è come dormire in una Gran Cuvée. Il concetto è piuttosto spinto visto che lo studio GCA di Barcellona, che ha progettato la struttura, ha previsto un edificio che equivale a una serie di bottiglie sdraiate. Cinque stelle, 12 stanze, le finestre sembrano fondi di vetro, il design è di oggi ma non stride tra le vigne, anzi si confonde come una farfalla in un roseto (da 100 euro a notte, hotelmastinell.com). Non partite senza aver bevuto un aperitivo al tramonto, magari provando la loro Gran Riserva e il jamón con pa amb tomàquet (pane strofinato con il pomodoro maturo e olio d’oliva).
Torres è un altro grande produttore di vini della regione, e sicuramente lo avrete incrociato nella vostra vita per via del Viña Sol, un mix di Chardonnay e Parellada che ha da poco compiuto cinquant’anni. Famoso anche il Sangre de Toro, rosso grazie alle uve di garnacha e cariñena. Il nome ha il sapore della corrida, poco amata da queste parti, in realtà è ispirato a Bacco, conosciuto anticamente come Figlio del Toro. Le cantine sono costruite guardando al futuro da Javier Barba di Bc Estudio Architects di Barcellona, protagonisti della rivoluzione architettonica green soprattutto in Spagna. Le sale per il testing sono immerse nella luce naturale, i materiali impiegati sono l’acciaio e il cemento, gli edifici si integrano armoniosamente nel paesaggio. Del resto Torres è un’eccellenza in tema di sostenibilità. È di questi giorni la notizia che, con il programma Torres and Earth, l’azienda catalana investirà 12 milioni di euro per sostenere le azioni a favore dell’ambiente e ridurrà del 30 per cento le emissioni entro il 2020 (fonte il quotidiano La vanguardia).
Certo, se il cava è «la porta che apre lo spirito» come diceva Manuel Vázquez Montalbán, lo scrittore locale più noto grazie al detective Pepe Carvalho, si apre un paradiso anche quando si va da Wine & Cooking Penedès, una masia del Seicento ristrutturata dove Marta e Magnus Haggren vivono con le figlie Maya e Julieta. Sono una bella famiglia, lui svedese, lei di Barcellona, stufi della città hanno deciso di spostarsi in campagna con le loro bambine. E sono felici.
Hanno arredato le tre nuovissime stanze per gli ospiti con molto amore, in stile un po’ provenzale. Servono una cena che è un trionfo di sapori basati su ingredienti eccellenti. Le uova che provengono da un allevatore vicino del Penedès da poco riconosciute IGP dall’Unione europea, sono freschissime (mi è tornato alla mente quando da bambina mia nonna mi faceva bere il tuorlo), le verdure le coltiva un altro vicino e a Marta brillano gli occhi quando parla di questa sua nuova avventura.

E la tortilla de patatas, un classico della cucina spagnola, ha i sapori de toda la vida come dicono in Spagna, quella certezza rifugio di bontà che si avverte ascoltando una canzone di Joan Manuel Serrat, un Julio Iglesias in versione catalana. La sera si stappa una bottiglia di cava della bodega Jané Basqués a pochi metri dalla loro porta (avercene di vicini così), incredibilmente buono, e si pasteggia con fuet, salamino delizioso, e pane con pomodoro e magari un’insalata di fichi appena colti dal loro albero. E la vita è perfetta anche se magari hanno sbagliato il colore della tovaglia o non sono usciti da un libro di lifestyle (da 110 euro a notte, bnbwinecooking.com). Un’ultima dritta: se amate il cioccolato, non perdetevi l’antica bomboneria di Simón Coll a Sant Sadurní d’Anoia e il ristorante Cal Blay Vinticinc, dove si sceglie il vino tra 25 mila etichette e dopo si passa a tavola.

L'articolo Catalogna, la legge delle tre C proviene da VanityFair.it.



from Traveller – VanityFair.it http://ift.tt/2q53mqI
via Catalogna, la legge delle tre C

Commenti