Dedicato ai folli sognatori, La La Land trionfa agli Oscar ma non riesce (a sorpresa?) a conquistare il premio più ambito, quello al miglior film. Con quattordici nomination e sette Golden Globe, la pellicola super favorita dell’enfant prodige Damien Chazelle (solo 32 e tre film all’attivo), che ha portato invece a casa la statuetta al miglior regista, si ferma a sei premi vinti – miglior attrice protagonista a Emma Stone, miglior fotografia, miglior scenografia, migliore colonna sonora, migliore canzone originale a City Of Stars – pareggiando il record di Titanic, ma lasciando un po’ di amaro in bocca ai tanti fan.
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Perché, sì,
La La Land tra il pubblico è già un cult. Forse per le musiche, la poderosa scena iniziale in cui, su una highway intasata dal traffico, la gente scende dalle auto per ballare sulle note di
Another Day of Sun, per il romanticismo e l’alchimia tra i due attori, Ryan Gosling e Emma Stone. O forse semplicemente perché parla della stessa sostanza dei sogni, evanescente e dolce-amara, e di quello che si è disposti a sacrificare per realizzarli.
La La Land è travolgente ma intimo, è romantico e allegro ma malinconico. Ci sono balli e canzoni ed è il ritratto di una
Los Angeles mai vista prima, la terza vera protagonista del film (48 location sparse nella città girate in 42 giorni di riprese). La città infatti è stata molte cose nel cinema- un paradiso del lusso o scenario di sfrenate ambizioni -, ma Chazelle l’ha considerata al pari di una musa, una tela su cui si avvicendano incontri fatali, un traffico pazzesco, dove ognuno insegue i propri sogni, a volte senza successo, a volte sì.
Il film è allora può essere letto anche come una lettera d’amore alla città, una
L.A. di piccoli club di jazz, di sale d’aspetto per le audizioni, appartamenti e
caffetterie dove si incontrano le persone famose e gli sconosciuti che vorrebbero diventare come loro. Una L.A. dove feste,
planetari e perfino le
strade trafficate possono perdere la loro normalità e diventare un sogno in movimento, in un continuo
ondeggiare tra passato e presente. Non a caso, per le location del film gli sceneggiatori hanno scelto posti leggendari, dal
Griffith Park Observatory al
Cinema Rialto, ma anche gemme nascoste come lo storico
Lighthouse Cafè a Redondo Beach, un club in cui si ascolta jazz dal 1949, o scorci più attuali, come quello del
murales You Are The Star. Curiosi di scoprire tutte
le location del film? Scopritele nella
guida alla Los Angeles di La La Land sfogliando la gallery.
Insieme a
Los Angeles, un ruolo fondamentale nel film è giocato dalla
scelta dei colori, sempre
vividi e brillanti, che sembra quasi di toccare; mai banali, tant’è che la palette cambia e passa dai toni accesi dell’inizio a quelli più raffinati e pieni del finale, con l’evolversi della storia e il maturare dei personaggi. “Fin dal primo giorno e poi per tutto il film, scena dopo scena, abbiamo sempre parlato della gamma dei colori”, dicono la
costumista Zophres e
Chazelle . “Discutevamo di come una scena potesse apparire neutra con un tocco di giallo e di avere in un’altra gli uomini in scuro e le donne con dei colori”.
Ecco allora l’uso di luci colorate per accentuare la gamma del
blu,
rosa,
verde e
giallo, le tonalità chiave. E poi tanti
cieli stellati a illuminare le scene notturne, basti pensare alle danze nel
Griffith Park o all’Osservatorio.
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Così, seguendo il fil rouge del colore, abbiamo ripercorso tappa dopo tappa le
location del film e siamo andati a scovare quegli
hotel,
ristoranti e
locali che per tonalità e mood potessero far rivivere l’atmosfera della storia di Sebastian e Mia. Dagli
Studios della Warner Bros. al
Colorado Street Bridge, dall’
Hotel Covell, che non appare nel film, ma è retrò e moderno insieme, al ristorante dello
Standard, ipercolorato, tutti gli
indirizzi da non perdere in un viaggio a “La La Land”.
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