Storie per partire: “Le otto montagne” di Paolo Cognetti

Monte Rosa Gressoney, Valle d'Aosta, Italy

Milano è un rumore grigio sotto una coltre perenne di smog. Il lavoro, la scuola, l’inverno sono solo un tunnel buio da attraversare trattenendo il respiro fin quando non arriverà finalmente il momento di arrivare lassù. C’è solo la montagna nel romanzo evento di Paolo Cognetti Le otto montagne (2016, 208 pagine, 18,50 euro, Giulio Einaudi Editore), un capolavoro italiano in via di traduzione in tutto il mondo che fa gridare la critica al miracolo. Per lo stile pulito e preciso, per l’umanità dei personaggi. Ma soprattutto per la potenza del tema che domina la vita di tutti i protagonisti, formandone il carattere e segnandone i destini. La montagna. Anzi, le montagne.

Idyllic Monte Rosa above Gorner glacier dramatic evening, Swiss Alps

I ghiacciai del Monte Rosa (foto: iStock)

LA STORIA

Fine anni 80. I genitori di Pietro arrivano, anzi fuggono dalle Dolomiti e da una tragedia d’altura. Provano ad adattarsi alla vita e all’aria metropolitana, ma il richiamo delle cime, che ogni tanto biancheggiano in fondo a qualche viale nei rari giorni di cielo pulito, è troppo forte. Si trovano così, verso nordovest, una loro montagna, una casa da vacanze in un moribondo paesino sotto il Rosa.

Cognetti_140_referenceAbbiamo una madre empatica e positiva, un padre spigoloso che vive la vita come una guerra solitaria, e un bambino che ama un po’ troppo il silenzio. E poi, Bruno, l’ultimo ragazzino del paese delle vacanze, e il suo ultimo montanaro. Le otto montagne è soprattutto la storia dell’amicizia tra i due bambini, poi ragazzi, poi uomini disillusi. Diversi per carattere e cultura. Uniti sempre di più da queste estati di esplorazioni e natura. Ma Bruno è “quello che resta”, che ha visto solo una volta la città, che contro tutto e tutti continua a scegliere di vivere lassù. Pietro è quello che va a cercarsi altre montagne e altre sfide in giro per il mondo, rompe i ponti con il padre, fugge ogni tipo di nido. Nuovo incontro dopo nuovo incontro, mentre intorno la civiltà della montagna continua a sgretolarsi, tutto finisce in una baita selvatica e solitaria che i due hanno costruito insieme.

IL LIBRO

Un romanzo che affronta temi profondi, l’amicizia, il rapporto tra le generazioni, la gestione della propria vita in un linguaggio semplice e insieme preciso ed evocativo. L’autore, finora scrittore ammiratissmo soprattutto di racconti, alpinista, documentarista (il suo sogno è organizzare dei seminari di scrittura del paesaggio in un rifugio, date un’occhiata al suo blog) ha il dono far sentire vivo e presente quel paradosso chiamato montagna, una dimensione aliena e estrema, selvaggia e primordiale a un’ora dalle nostre città. Diversa da tutto. Eppure ce n’è un pezzetto in ognuno di noi.

I LUOGHI

La vicenda si svolge tra le vallate e i ghiacciai al confine tra Piemonte e Val D’Aosta, tra gli anni 80 e i nostri giorni. La famiglia Guasti la scopre senza averne mai praticamente saputo niente prima “Non conosco il luogo esatto di quel giorno. Chissà se era Macugnaga, Alagna, Gressoney, Ayas.” Ma sappiamo che il paese immaginario di Grana si trovava “nella diramazione di una di quelle valli, ignorata da chi passava di lí come una possibilità irrilevante, chiusa in alto da creste grigio ferro e in basso da una rupe che ne ostacolava l’accesso.” E che lì il padre, montanaro autodidatta, scopre che ogni montagna ha il suo carattere e la sua voce “Rispetto ai profili dolci del Veneto e del Trentino quelle valli occidentali le sembravano anguste, buie, chiuse come gole; la roccia era umida e nera, torrenti e cascate scendevano dappertutto.”

Nelle scalate in cui si alterneranno il padre, il figlio e quel suo fratello di montagna si nominano i ghiacciai del Garstelet e del Lys, i rifugi Gnifetti e il Mezzalama. Ma soprattutto si racconta nel dettaglio il paesino dove “nel 1984, abitavano quattordici persone”. La scuola abbandonata e gli alpeggi inselvatichiti, la funivia che arruginisce, i segni dei sentieri che sbiadiscono, macerie e rottami. Sempre d’estate, perché il padre del narratore non concepisce la montagna della neve e dei doposci, artificiale e forzata, perché in inverno il Rosa e i suoi animali dovrebbero essere lasciati in pace, in letargo. L’inverno non è un posto per gli uomini.

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