Colombia: i 5 luoghi da non perdere. Tra arte, natura e magia

Ph. Marisa Montibeller

La data è storica: 24 agosto 2016. Firmata in Colombia dopo più di cinquant’anni la pace definitiva tra le Farc e il governo di Bogotà, apre al mondo un paese ricco di storia, cultura e tradizioni, ancora oggi tutto da scoprire. I tesori più belli belli di arte e natura? Nascosti nelle valle andine. Ecco quelli da non perdere.

San Agustín: capolavori di pietra

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Storie, sogni e stelle furono rapiti dalla pietra che, così, fermò il tempo. E qui, con un balzo, si viene proiettati in un passato lontano millenni. Un tempo in cui conoscenze preziose e una cosmogonia complessa vennero incise con maestria su pagine di roccia scaldate dal sole, accarezzate dal vento e lette ancora oggi dal cielo. Gli autori? Un popolo indigeno antichissimo e misterioso, che non seppe resistere alla tentazione di utilizzare i giganteschi sassi scagliati nella selva dalle eruzioni dei vulcani. Una civiltà raffinata che ha lasciato ai posteri 500 monumentali statue monolitiche, capolavori d’arte che ritraggono figure zoomorfe e antropomorfe, testimonianza storica di un tesoro culturale tra i più importanti, e meno conosciuti, del mondo preispanico sudamericano. Patrimonio naturale e culturale Unesco, il Parco Archeologico Nazionale di San Agustín, aggrappato sulle Ande a 1.720 metri, è sparso su un’area di 500 chilometri quadrati nel cuore della Colombia sudoccidentale, lontano dagli itinerari classici, dalle linee delle palme di Cartagena, dalla modernità di Medellín, e a 450 chilometri da Bogotà.

“Con la pace  si spalancano le porte di un angolo di paradiso, off-limits durante la lunga guerra civile”, racconta Spartaco Schiassi. Italiano, da 25 anni vive tra Colombia e Venezuela ed è stato uno dei consiglieri del Ministero del Turismo. “Oggi è un luogo sicuro, sonnolento, nella sua lontananza da tutto. Pochi viaggiatori arrivano fin qui.” Solitario come l’ombelico del mondo, San Agustín si nasconde nella regione superiore del Rio Magdalena. Varcando i cancelli del Parco Archeologico, si è catapultati in un universo naturale che coinvolge tanto quanto le sue meravigliose sculture. Per i colori sgargianti dei fiori, le infinite tonalità di verde, i richiami degli animali, l’odore dell’umidità che, a ogni passo, si fa più selvatico.

Un posto speciale, scelto millenni fa dagli antenati alla confluenza di cinque fiumi

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“Questo era un luogo sacro e di culto, vi si seppellivano i morti e si veneravano le divinità”, spiega la guida Paloma Bisulli, 38 anni, nata in Colombia da genitori italiani. Si cammina tra sculture alte fino a sette metri: teste dalla bocca smisurata con canini di felino, figure con scettri, steli, cariatidi, animali simbolici. L’atmosfera ha un che di irreale e misterico. “L’idea fondante? Si vive in funzione della morte, ma per essere felici e amare. E dalla terra si torna al cielo e alle stelle. Un ciclo perfetto, che a San Agustín è espresso con precisione matematica nel rincorrersi di misure e distanze che si rifanno alla successione di Fibonacci e alla sezione aurea.” Un posto speciale: scelto millenni fa dagli antenati alla confluenza di cinque fiumi, forma una perfetta stella, un incrocio magico di linee astrali, dove la capacità percettiva e il contatto con le stelle sono intensissimi. Nonostante il cristianesimo imposto dai conquistadores, qui non ha mai smesso di battere nel profondo il cuore animista, legato alle culture ancestrali. Tutto è connesso alla Pacha Mama, la Madre Terra.

Akawanka Lodge, charme nel cuore del bosco

E poi, giusto fuori dal Parco, su una curva della strada, una casa con un’insegna: ristorante Altos de Yerba Buena. Dopo tanta spiritualità, si viene catapultati in un mondo inaspettato di piaceri terreni. Ambiente, cucina e cantina curatissimi, dove Oscar Mazorra, 52 anni, propone piatti con stile e qualità. Da gustare? Il filetto di manzo al vino. A due passi, l’Akawanka Lodge, uno di quei luoghi dove ci si vorrebbe fermare a lungo. Su una collina, assediato da piantagioni di caffè a perdita d’occhio, è costruito con il legno del bosco andino. Tonalità chiare e venature ardite fanno da cornice naturale ai murales che invadono le pareti. Ancora animali fantastici, immagini simboliche. L’autrice? L’artista locale Yorleny Cardozo Peña, 28 anni. “I dipinti sui muri, i tessuti, le decorazioni: mi sono ispirata alla natura e all’arte ancestrale”. E se al tramonto ci si sdraia sull’amaca in terrazza, quelle strane figure prendono vita tra le piante di limoni e di guaiava. Silenziose e impressionanti: scene di un altro mondo.

Tierradentro: quel tesoro nascosto sottoterra

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Ancora più misterioso e sconosciuto è il Parco Archeologico di Tierradentro. Dista 200 chilometri, ma per arrivarci ci vogliono cinque ore: la strada è pessima, per lunghi tratti sterrata. E deve fare i conti con la geografia del sud colombiano – irregolare e scostante – opera di un dio se non folle, sicuramente arrabbiato. Ma è proprio in mezzo alla vertigine, tra i costoni e le falde andine, che si trova il premio: Patrimonio Unesco, Tierradentro cela il suo tesoro sottoterra. Anche qui, un luogo sacro per il culto dei morti, ma ipogeo. Si fa fatica a scendere i ripidi gradoni ma, una volta nelle cripte profonde dieci metri, i templi, le statue antropomorfe intagliate nella roccia, le pareti e i pilastri dipinti in rosso, nero, bianco, giallo, con motivi geometrici e volti umani stilizzati, lasciano senza fiato.

“Grazie agli stranieri che ho accompagnato in questi anni, ho visto il mio paese con occhi di amore”…

“Non si sa se ci sia un legame con la cultura agustiniana” spiega Cristian Palamija, 30 anni, guida indigena di etnia yanacona. “Gli esperti sono certi avessero però un modo comune di stare nell’universo, praticando forme complesse di culti, specialmente funerari.” C’è anche il comune rispetto che quei popoli avevano nei confronti di Pacha Mama, un legame simbiotico che i nativi  mantengono ben saldo. “Curiamo da secoli il territorio in maniera armonica” racconta Palamija. “La guerra ci ha costretto a scappare nelle città, dove vivevamo da emarginati. E l’irrorazione di pesticidi da parte dell’esercito statunitense, per distruggere le piantagioni di cocaina, ha bruciato tutto. Oggi la pace ci ha permesso di tornare e ricominciare a coltivare la terra”. Per molti di loro questa ha significato lavorare come guide e ritrovare una dignità e un ruolo. “Avevo lo sguardo indigeno” racconta Palamija. “Odiavo la mia terra, mi sentivo escluso. Gli stranieri che ho accompagnato in questi sei anni mi hanno insegnato a vedere il mio paese con occhi diversi, di amore.”

Nevado del Huila: la foresta nebulosa e i ricami verdi dei frailejones

Cordigliera-centrale_cactus_02007_Ph-Marisa-MontibellerA raccontare la bellezza della Colombia, luogo privilegiato per la biodiversità, bastano i numeri. Con solo lo 0,77 per cento di suolo del pianeta, conta una varietà immensa di specie viventi e 130 mila tipi di piante. E più di
70 specie di frailejones, pianta dalle foglie larghe ricamate a forma di rosetta, di un colore dall’argento all’oro, il cui gambo cresce fino a dieci metri. Proprio questa strana creatura è la compagna del viaggio di dieci ore che attraversa le Ande e arriva ad Armenia. La strada, nemmeno a dirlo, è dispettosa, sterrata e si arrampica sul dorso di vulcani spenti.

Il premio qui, è fra le nuvole, a più di tremila metri. E ripaga degli sballottamenti: la foresta nebulosa del Nevado del Huila. Per la grande umidità, è sempre verde e coperta da una cortina di nuvole a bassa quota. Una coltre
compatta di muschi e licheni ricopre come un manto suolo e piante, mentre tronchi e rami annodati formano dense corone. Una rappresentazione vegetale che sorprende per le sempre diverse scenografie. Da guardare da vicino, giusto durante le soste per sgranchire le gambe: la giungla di montagna è fitta, respira pesante e sembra aspettare solo il momento buono per inghiottire chi vi si avventura.

Valle del Cocora: le palme da cera, giganti andini

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Ad Armenia le piantagioni di caffè sono così estese da costituire un Eje (distretto) Cafetero. In questa porzione di Ande se ne produce uno dei migliori, pura qualità arabica. Un altro mondo: piccoli paesi, fincas (fattorie) e gaucho con cappellaccio di cuoio e baffi duri come fili di ferro, a cavallo o a bordo di jeep Willys. Altra pazza storia colombiana: erano un’eccedenza dell’esercito statunitense dopo la Seconda guerra mondiale. Sono finite qui, diventando il simbolo dei coltivatori locali. Un’avvertenza: impossibile bere un buon caffè. La qualità migliore viene esportata.

Da Salento, cittadina dalle case bianche con tegole rosse, si accede alla Valle del Cocora. Svettano ovunque le palme da cera, le più alte del mondo: raggiungono i 60 metri. Sullo sfondo, il Parco Nazionale Los Nevados, con una corona di ghiacciai che superano i 5 mila metri e un’altra spettacolare foresta nebulare. Il modo migliore per esplorarla? Con una guida, a piedi o a cavallo.

Bogotà: cuore d’oro colombiano

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Infine Bogotà. Anche la capitale lega il suo destino alle Ande: 11 milioni di persone si contendono una piana gigante a 2.600 metri. Moderna, affollata e poco affascinante, è una distesa di case e grattacieli avvolti dall’inquinamento. “Il tasso di omicidi è al minimo storico degli ultimi 30 anni” spiega ancora Schiassi, “ma rimane una metropoli da affrontare con prudenza. Imperdibile una passeggiata nello storico quartiere della Candelaria, dedalo di viuzze con ristoranti, gallerie d’arte, locali”. Il pezzo forte? Il Museo Fernando Botero, fenomenale raccolta di sculture e quadri dell’artista di Medellín: c’è da perdersi, tra le dimensioni assurde delle sue donne, degli uomini baffuti, dei bambini. È invece il luccichio a colpire nel Museo del Oro, tra i più importanti del mondo: 55 mila pezzi e manufatti delle principali culture precolombiane. Per non impazzire tra le innumerevoli teche, è consigliabile andarci con una guida e scoprire i lavori più significativi, per poi scegliere il preferito. Magari l’Uomo Pensante, figura antropomorfa, con la testa appoggiata a una mano. Da millenni sembra interrogarsi sul senso della vita e dell’universo.

Bogotà ha un’anima godereccia che vive nel buon mangiare e buon bere. Da non mancare? Andrés D.C., ristorante e cocktail bar: 1.200 metri quadri su quattro piani, con musica dal vivo, atmosfera kitsch ironica e contemporanea, gente sia elegante, sia casual, che mangia, beve, balla. Luci e suoni ovunque. Come benvenuto? Un mojito, servito nel gigantesco guscio di una noce di cocco. Attenzione a non perdersi nel menu: 70 pagine. Per semplificare, le bistecche sono fantastiche. Servizio inappuntabile, cibo ottimo, divertimento assicurato. Come recita lo slogan del Paese: “Colombia, l’unico rischio è di volerci restare”…

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