“Per tutti i gusti. La cultura nell’età dei consumi” è il titolo di un saggio del 2011 di Zygmunt Bauman e pubblicato in febbraio da Laterza. Un breve saggio che offre un punto di vista interessante sul contemporaneo. Scrive Bauman: “Al giorno d’oggi non è più tanto facile distinguere una élite culturale da quelli che si trovano più in basso nella gerarchia culturale sulla base dei vecchi indicatori, come ad esempio la presenza assidua ad opere e concerti, l’entusiasmo per tutto ciò che è considerato «arte alta» in un determinato momento, e l’abitudine di storcere il naso nei confronti di «tutto ciò che piace alla massa, come una canzone pop o la televisione popolare».(…). In altre parole non c’è prodotto culturale che mi sia estraneo. Non mi identifico con nessuno di essi al cento per cento, in modo totale e assoluto, e certamente non al prezzo di negarmi altri piaceri. Mi sento di casa dapperttutto, nonostante non ci sia un posto (o forse proprio perché non c’è un posto) che io possa chiamare casa. Non è tanto una questione di scontro tra un gusto (raffinato) e un altro (volgare), quanto tra l’essere onnivori e l’essere univori, tra la disponibilità a consumare tutto e la selettività schizzinosa”.
Sulle conseguenze sociologiche di queste analisi rimando al bel saggio, mentre accosto queste riflessioni a qualche notizia sui consumi culturali italiani: a Milano gli abbonamenti a teatro hanno superato quelli allo stadio (ma gli onnivori si godono contemporaneamente la partita in pay tv); in Italia nel 2015 sono stati venduti 8 milioni 700 mila biglietti del cinema in più rispetto all’anno prima (e non è solo merito di Checco Zalone). Il Festival di San Remo ha chiusto con una media di 49,58% di share, ma anche lo show sulla Costituzione di Roberto Benigni registrò anni fa uno share di 43,94%. Alle imprese del sistema produttivo culturale italiano si devono oggi 78,6 miliardi di euro (5,4% della ricchezza prodotta in Italia). Che arrivano a 84 circa (il 5,8% dell’economia nazionale) se si includono istituzioni pubbliche e non profit (Io sono cultura, 2015, della Fondazione Symbola e Unioncamere). Per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,7 in altri settori. Gli 84 miliardi, quindi, ne “portano” altri 143, per arrivare a 226,9 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, con il turismo come principale beneficiario di questo effetto. Insomma, bisognerebbe trivellare nei giacimenti aperti della cultura per tutti i gusti invece di cercare oro nero sotto i nostri piedi.
In questo numero dedicato alle vacanze di Pasqua, abbiamo pensato alle contaminazioni culturali che arrivano da lontano (nel dossier Giappone), ma abbiamo anche seguito la curiosità di Marina Puricelli, docente dell’Università Bocconi che ci ha condotto sulle tracce di una nuova generazione di artigiani italiani, testimonianze di valore e creatività del nostro patrimonio. Che si esprime nel talento dei giovani chef calabresi (a pag. 124), nel desiderio di riaprire quello scrigno d’arte e bellezza che è Mantova, capitale della cultura 2016, o nell’energia della nuova Milano vista con gli occhi dei bambini (a pag 98). E questo solo per citare alcuni dei nostri articoli che troverete su Dove. Nel pensiero di Bauman, per noi nativi dell’epoca liquida moderna la cultura è uno dei tanti reparti di un grande magazzino dove le persone sono state trasformate in consumatori. Sarà. In attesa che l’uomo, come dice il sociologo, riprenda il suo ruolo di amministartore capo della “politica della vita”, per ora godiamoci la libertà di uscire di casa, viaggiare e nutrire l’anima, senza pensare di dover pagare un conto alla cassa di un supermercato.
L'articolo Per tutti i gusti: l’editoriale del nuovo numero di DOVE. Da oggi in edicola sembra essere il primo su viaggi.corriere.it.
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